05 gennaio 2016

Cani perduti senza collare

In queste settimane di vacanza ho riletto Cani perduti senza collare, romanzo in cui lo scrittore francese Gilbert Cesbron (1913-1979) descrive l’esistenza di alcuni ragazzi in un istituto di correzione, nell’immediato dopoguerra. Storie drammatiche, apparentemente senza speranza. Passioni, grandi paure, discorsi. Un disperato (e mai colmato) bisogno d’affetto.  

Accanto a questi ragazzi, alcune figure adulte assumono una posizione educativa importante. Fra questi Lamy, il giudice dei minorenni: mai buonista, ma sempre teso a far emergere, in un contesto apparentemente senza speranza, semi nascosti di bellezza, di generosità, d'affetto, di purezza...

«Avanti! Adunata! Più presto!»
Zanna Bianca aspetta ancora un istante; fissa l’una dopo l’altra quelle facce ermetiche, poi dice lentamente:«Ascoltate bene! È stato rubato nel dormitorio un biglietto da cinquecento franchi, appartenente al vostro compagno Timeone. Spero che il ladro si denuncerà da sé, per evitarmi di punirvi tutti… Di punirvi gravemente!» aggiunse dopo un silenzio.
Nessuno si muove… E tuttavia!... Radar, contro ogni logica, va ad allinearsi presso i compagni – proprio accanto a Paulo, che l’ha derubato. È vero che è il solo a non saperlo!
«Sta bene» riprende zanna Bianca (e si direbbe ch’egli non sia scontento di quel silenzio). «Resteremo qui, fino a che il ladro si decida ad agire da uomo!»
Guarda l’ora al polso; lascia liberi con un gesto gli altri due capi, e comincia a percorrere a lunghi passi il prato.
Il capo Robert viene a parlargli a bassa voce:«Se per caso ce ne fosse uno che conosca il colpevole…»
«Lo conoscono tutti, mio caro!»
«Allora, uno di loro vorrà sicuramente…»ù«Denunciarlo? Certamente no! Nessuno glielo perdonerebbe… Io per primo, del resto! Ah no! Preferisco complici a delle spie! – e voi no?»
Robert si accomoda gli occhiali lungo il naso ossuto:«Allora si fermeranno là tutta la notte?».
«Se necessario, sì… E non ditemi che rischiamo di prendere freddo! Giochiamo una partita ben più importante, mio caro! Non dimenticate che tutti questi ragazzi, o quasi tutti, hanno rubato…»
«Non è stata colpa loro: la società in cui viviamo…»
«D’accordo! Ma io non ho in consegna la società. Devo soltanto trarre di impaccio sessanta ragazzi. Se spiego loro che sono delle vittime, resteranno tali per tutta la vita: è un ruolo più piacevole di quel che pensate! Io li persuado che un giorno avranno, come gli altri, una famiglia e un mestiere, e che questo è più onorevole del vagabondaggio e del bistrò... »



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