Una pagina struggente e
intensa, tratta da Il compagno don Camillo, di Giovannino Guareschi.
Indimenticabile.
Indimenticabile.
«Questa è la strada, là è la
carrareccia, questa è la siepe lungo il fosso e là è la quercia». Ripercorse, seguito dal
compagno Tavan, il fosso ghiacciato e risalì la sponda ai piedi della grande
quercia. «Ecco,» spiegò indicando il campo di tenero grano «qui è sepolto tuo
fratello. » Risollevò la cortina d'edera
e mostrò la croce e la data e la parola incisa sulla corteccia.
Il compagno Tavan guardava
il campo di grano e la mano che stringeva il lumino tremava. Don Camillo avanzò qualche
passo nel campo di grano e, chinatosi, fece un buco nella terra. L'altro
comprese e raggiuntolo, mise il lumino nel buco e lo accese. Rialzatosi, rimase
a contemplarlo, col berretto in mano.
Don Camillo cavò di tasca il suo coltellino e tagliò fuori dalla terra bruna una zolla con tre tenere piantine di frumento. Aveva in tasca il bicchierino di alluminio che gli serviva da Calice: «Ne troverò un altro» pensò mentre lo riempiva con la zolla di terra. «Portalo a casa a tua madre» disse al compagno Tavan mentre gli metteva in mano il bicchiere.
Tornarono al margine del
campo sotto la quercia. «Segnati pure, compagno»
disse don Camillo al compagno Tavan. «Mi segno anch'io.» Si segnarono: e nella sua
nicchia, difesa dal vento, la fiammella del lumino palpitava. Un colpo di
clacson li riportò sulla strada del ritorno.
Poco prima di raggiungere il
torpedone, don Camillo si fermò: «Compagno» disse con voce grave: «tua madre
sarà contenta ma il Partito non potrebbe mai approvare cio che abbiamo fatto». «Non me ne frega niente»
rispose con voce sicura il compagno Tavan. E maneggiava il bicchierino
contenente la zolla e le piantine di frumento, con infinita delicatezza, come
se avesse, tra le grosse dita, qualcosa di tenero e di vivo.
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