19 gennaio 2016

All'ultimo momento


Da Il cavallo rosso di Eugenio Corti: una splendida pagina piena di umanità, di poesia, di eroismo, di dolore.
La dedico a chi apprezza i romanzi storici.
A chi si lascia avvincere dalle storie epiche.
A chi non si limita ai best seller di gran moda.
 

 

[…] Sforzandosi di reprimere la propria orribile agitazione, Stefano si protese sul terrapieno per prendere di mira qualcuna di quelle invisibili ombre che avevano ucciso il suo compagno di squadra. Ma non poté sparare: un urto, come un pugno in pieno petto, gli tolse ogni possibilità d'agire ancora, di compiere un qualsiasi ulteriore sforzo: si afflosciò con lentezza dietro il terrapieno. “M'hanno colpito al cuore” pensò. Tutt'intorno il combattimento che l'aveva impegnato fino allora continuava, ma egli ormai non ci aveva più a che fare: altre cose, diverse e accavallantisi, estenuavano i suoi ultimi istanti: quella fitta implacabile che sembrava al cuore, il terrore, più che della morte, del mistero che la seguiva, e il pensiero di sua madre. Ma soprattutto il dolore… questo insopportabile dolore al petto: “Ahi…ahi…”

Giovannino faccia-infarinata si voltò verso di lui e annunciò livido: “Ho finite le munizioni”, quindi inastò la baionetta; ma Stefano non lo udì, si lamentava adagio: “Ahi…ahi” Faccia-infarinata vide il guanto che il giovane si premeva al petto rosso di sangue, udì il lamento. Stefano giaceva come ammucchiato contro lo spalto: l'altro, deposto per un istante il moschetto, si piegò su di lui e lo tirò supino; il dolore nel petto di Stefano diminuì un poco, cessò il suo lamento; egli tuttavia non apriva gli occhi. Li aveva fissi su sua madre, seduta lì, nella cucina di casa, al solito posto: la mamma dalla sedia lo guardava, lo guardava, con occhi spalancati. Stefano l'invitava: “Parlate, dai, dite qualche cosa voi, che io, con questa fitta al cuore, non posso parlare… e non c'è più tempo, mamma, non c'è più tempo.” La figura della madre fluttuava, fino a diventare indistinta, si dissipava: “Mamma! Mamma!” urlò Stefano.

“Anche questo” pensò Faccia-infarinata; “anche lui! All'ultimo momento chiamano tutti la mamma!”. Si chinò nuovamente su Stefano, che stavolta aprì gli occhi e vide quella larva di faccia imminente. “Il Giovannino di Nomana…” pensò, come in una nebbia; poi: “No, no…” si disse: “è… è la faccia della morte!” e compiendo un supremo sforzo alzò entrambe le braccia per respingerla. La sua anima abbandonò il corpo. Come quando bambino, nel cortile della Nomanella, poggiati per gioco mani e ventre su una stanga del carro Stefano spingeva le gambe in alto e la testa in giù per vedere il mondo capovolto, così ora intorno a lui si produsse un grande capovolgimento. […]

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