31 gennaio 2023

Cattolicesimo. Manuale di sopravvivenza

No, questa volta non si tratta di un romanzo. E non è nemmeno un saggio. È un piccolo libro nato dalla penna arguta di Diego Goso, sacerdote che ha voluto raccontare - con ironia, leggerezza, cuore - frammenti della sua esperienza quotidiana.

In "Cattolicesimo. Manuale di sopravvivenza" è possibile gustare certe pagine divertentissime, di cui voglio offrirvi un assaggio.  Alcune esternazioni sono esilaranti; e il bello è che nessuna di esse è frutto di fantasia. Buona lettura!

Dal capitolo 7°: «NEL CUORE DELLA FORESTA AMAZZONICA»

L’ufficio parrocchiale è una vera e propria benedizione per un prete.
Davanti a quella scrivania passano i momenti di gioia e tristezza delle famiglie, passa la vita di un paese, passano le esistenze di tanti fedeli e di gente anche lontana che si avvicina per chiedere, per sapere, per cercare.
Quelle ore seduti davanti alla nostra gente rappresentano un confessionale e un pulpito “ausiliari” dove raccogliere confidenze, confessioni, sfoghi, emozioni, entusiasmi, iniziative. Un luogo dove mettere i puntini sulle “i” e parlare con franchezza e dove si può “raccontare Gesù” in mezzo alla storia di tante persone.
Ma l’ufficio parrocchiale non è solo questo. Di seguito l’elenco di cose personalmente vissute, sentite, subite nei quattro metri per tre di questa porta verso il mondo.

- Scusi, (per telefono) sa se oggi è giorno di mercato?

- Scusi, (sempre per telefono) mi sa dire se il sindaco oggi riceve?
- Ma signora, questa è la parrocchia...
- E lo so... ma in municipio non mi risponde nessuno...

- Scusi, (dal vivo e mettendo un bambino in fasce sopra la scrivania) non è che per caso ha mezzo secondo per battezzarmelo qui?

- Scusi, (di nuovo per telefono) mi sa dire se è morto mio padre?

- Vorrei far dire una messa per mia nonna che sta per mancare. Visto che le danno poche settimane di vita me la segna già per il prossimo mese? Così se muore sono già a posto...

- Scusi, a che ora è la messa delle 18,00?

- Scusi, - questo è un classico da oscar - a che ora è la messa di Natale di mezzanotte? (26 volte solo la Vigilia passata, da aver voglia di installare una segreteria telefonica)

- Sono venuto a far dire la messa di Tredicesima... (sarebbe la messa di Trigesima).

- Mi può benedire il costume da bagno? (La signora, che aveva almeno 60 anni, per fortuna non ce l’aveva addosso ma in una busta di nylon).

- Per non scomodarla, che so che ha tanto da fare, la casa non me la può benedire da qui, che tanto dalla finestra si vede?

- Ho saputo che vogliono fare u
n attentato in chiesa ma non posso dirle la fonte, sono miei informatori segreti.

- Scusi, devo protestare con il Papa per quello che ha detto all’Angelus. Posso avere il suo numero privato?

- Ha una copia della Sindone?
- Scusi, vuol dire una immaginetta?
- No, no, una copia vera... almeno grande come un lenzuolo... gliela pago...

- Mi può benedire questa acqua benedetta di Lourdes?
- Mi scusi, ma se è già stata benedetta...
- Sì, ma quello era un prete francese e non ci ho capito nulla...

Due considerazioni conclusive: uno certe cose vorrebbe essere capace ad inventarsele. La realtà supera invece la fantasia. Inoltre con soddisfazione si può affermare che il mondo è meraviglioso...



27 gennaio 2023

Il palazzo delle donne

Sono approdata a "Il palazzo delle donne" grazie al suggerimento della bibliotecaria che - dopo anni - conosce evidentemente i miei gusti di lettrice. Nato dalla penna di Laetitia Colombani, il romanzo si snoda con delicatezza su due diversi piani narrativi.

Innanzi tutto c'è Solène, brillante avvocato nella Parigi dei giorni nostri, che precipita in una grave depressione per quello che oggi si usa definire burn out. Come supporto alla terapia, lo psicologo le consiglia un'esperienza di volontariato. Dopo molte resistenze Solène accetta il suggerimento, e varca la soglia di un grande edificio che ospita donne segnate dalla miseria, dallo sfruttamento, dai fallimenti. Ciò che Solène non si sarebbe mai aspettata, è di scoprire in quelle esistenze ferite qualcosa di se stessa, e delle proprie sconfitte.

Il secondo piano narrativo, che assume il sapore del romanzo storico, racconta la vicenda di Blanche Peyron: giovane donna appartenente all'Esercito della Salvezza, in una Parigi devastata dalla Grande Guerra, decide di spendere la propria esistenza per combattere - con piglio militare e sensibilità femminile a un tempo - la miseria che vede intorno a sé. Si rende conto del fatto che i pochi aiuti elargiti ai poveri sono destinati agli uomini, mentre per la popolazione femminile non restano nemmeno le briciole. Proprio alle donne, quindi, Blanche consacra tutti i suoi sforzi, affiancata dal marito Albin; e per questa causa sacrifica tempo, denaro, energie, salute. Quando scopre che in rue de Charonne è in vendita un intero albergo abbandonato, inizia un'attività instancabile per raccogliere i fondi necessari ad acquistarlo. Ci riesce nel 1925, e ne fa un luogo di accoglienza, destinato a ospitare le donne più povere. 

«...Blanche vede già il suo Palais de la Femme: un rifugio per tutte le donne maltrattate dalla vita ed emarginate dalla società. Una cittadella dove ognuna avrà uno spazio per sé, una camera calda, luminosa, comodamente arredata. Un chiostro di pace. Un palazzo dove medicare le proprie ferite e rialzarsi...»

È proprio quel "palazzo delle donne" in cui, quasi un secolo dopo, Solène troverà molte risposte alle sue inquietudini.



19 gennaio 2023

La salita dei giganti. La saga dei Menabrea

La piccola Genia è figlia di Carlo Menabrea, l'imprenditore che ha reso grande il birrificio di famiglia, fondato dal nonno alcuni anni prima. 

La sua è un'infanzia felice, trascorsa tra Biella (dove i Menabrea risiedono e lavorano), e Gressoney (dove hanno le proprie origini). I suoi genitori sono legati da un amore denso di tenerezza e complicità; le sue sorelline sono per lei compagne di giorni sereni. 

Un giorno il papà la porta con sé per un'impegnativa escursione in montagna. Genia ha solo sei anni, fatica a tenere il passo, ma stringe i denti e resiste: non vuole deludere quel padre meraviglioso, così presente nella sua vita nonostante le lunghe assenze per lavoro. Quando giungono finalmente in vetta, al cospetto dei Giganti del Monte Rosa, papà è fiero di lei. E compie un gesto singolare: le fa assaggiare un sorso di birra. (Vi offro in lettura quella pagina, la trovate fra poche righe).

La bambina non lo sa, ma quel sorso ha per il padre - già minato dalla malattia -  un significato profondo; è il suo modo per dirle: ho scelto te, piccola mia, sarai tu a portare avanti ciò che mio padre ha iniziato, e io ho reso grande. Genia lo capirà molto più tardi: dopo la morte prematura del padre, dopo anni di fatiche e di sfide. 

Francesco Casolo, ne "La salita dei giganti", ripercorre la vita intensa di Genia, donna coraggiosa; un'esistenza costellata di dolori e lotte, gioie e conquiste, attraverso decenni di storia italiana. Il risultato è un libro meraviglioso, che è insieme saga familiare, racconto di formazione, romanzo storico.

Lei gli andò dietro e in tre passi si ritrovò sul punto più alto, da dove finalmente riuscì a vedere dall'altra parte. Era come diceva suo padre: adesso si trattava solo di scendere, lasciando andare le gambe. Era sudata fradicia e le facevano male i piedi, ma ce l'aveva fatta.
Vide suo padre frugare nello zaino.
"Cosa cerchi?"
"Aspetta."
"Dai, dimmelo," insistette.
"Festeggiamo, Genia. Sei arrivata in cima..."
Lei abbassò gli occhi, intimidita, poi lo vide estrarre una bottiglia. Capì abbastanza in fretta che quella cosa, almeno quella, non se la sarebbe più dimenticata.
"Brindiamo?"
Intendeva veramente...
"Papà..." sorrise.
"Tienila sulla lingua. Non berla."
Genia afferrò la bottiglia di vetro. Era fresca, in trasparenza di un colore rame scuro. Le tremavano le braccia, forse solo per la stanchezza: pensò che le sarebbe potuta cadere e avrebbe rovinato tutto. Lesse la scritta Menabrea, pensò a suo nonno, il nome era su quella targa e anche sul vetro della bottiglia. [...]
Guardò suo padre: era di nuovo felice, più papà che signor Carlo Menabrea. E per niente l'uomo stanco e fragile che l'aveva soccorsa qualche ora prima nel torrente.
Fede esattamente quello che lui le aveva detto: si portò la bottiglia alle labbra, la tenne in bilico e poi lasciò scivolare pian piano il liquido finché non lo sentì sulla lingua. Rimase ferma, senza bere, senza muovere la bottiglia, solo facendo mulinare la lingua in quel liquido.
"Com'è?"
Deglutì.
"Dai, com'è?"
Genia fissò suo padre.
"Ti piace?"
Fece sì con la testa. Sì, era buona, buonissima. O almeno le sembrava che lo fosse. E però. No, non adesso. Non ci pensare, Genia. Non adesso.
Abbassò gli occhi. La diga si sollevò, rapidissima.
Carlo se ne accorse.
"Non è niente, Genia, ti dico che non è niente, sto bene..."
Non servì a nulla.
Genia strinse i denti, serrò gli occhi ma, imboccando il sentiero verso il basso, la diga crollò. Testa bassa e gambe in spalla, un piede davanti all'altro, un piede davanti all'altro, pianse a dirotto.



16 gennaio 2023

Blue Monday

Il terzo lunedì di gennaio è comunemente definito "Blue Monday" (lunedì triste). Le vacanze natalizie sono ormai lontane, fa freddo, le giornate sono ancora brevi: ecco gli ingredienti per il giorno più deprimente dell’anno. Lo dice la scienza? No, è una data inventata di sana pianta; una delle tante "invenzioni" dei nostri amici anglosassoni.

Il Blue Monday non esiste, insomma. Ma la tristezza sì: può assalirci in certi periodi complicati, quando il dolore o la stanchezza sembrano logorarci. Oppure quando la malinconia si fa strada, e il cuore sembra vuoto.

Di che cosa abbiamo bisogno in un momento così?

È quello che si chiede anche Nori, nel silenzio della sua mansarda, in una sera di profonda confusione interiore. 

Quella sera stessa, nel silenzio della mia cameretta mansardata, mi sentii perdutamente sola e piansi un po’. Chi poteva farmi davvero compagnia in un momento così confuso? Senza giudicarmi, senza prendermi in giro, senza rimanere deluso, senza fare prediche?
Quasi inavvertitamente, la mia mano si posò sul telefono, e compose il numero di Lucia.
– Ti disturbo?
– Ciao Nori. No, stavo leggendo un romanzo. E tu?
– Io niente, non stavo facendo niente. Mi è venuta voglia di sentirti, è da un po’ che non ci vediamo.
– Hai ragione. Ma tu come stai? 
– Bene, io sto bene.
– Hai una voce strana. O sei raffreddata, o hai pianto.
– Ho pianto – confessai, con una naturalezza che mi sorprese, e quasi mi infastidì. Certo, sentivo il bisogno di confidarmi, ma non era da me giocare subito a carte così scoperte.
– Che ti è capitato?