13 dicembre 2015

La favola di Natale nel lager di Sandbostel


Tutta da gustare, a maggior ragione in queste serate di profondo dicembre, è La Favola di Natale che Giovannino Guareschi scrisse nell’inverno 1944, durante il periodo di prigionia.

Fu raccontata per la prima volta la sera della Vigilia di quel Natale, nella sua baracca nel lager di Sandbostel, accompagnata dalla musica composta da un altro compagno recluso.

Non a caso l’autore nella premessa della favola indicò come muse ispiratrici “Freddo, Fame e Nostalgia”.


La trama è nota: il piccolo Albertino (figlio dell'autore), la nonnina, e il suo cagnolino Flick compiono un incredibile viaggio verso il campo di concentramento in cui si trova il padre. Attraversano luoghi misteriosi e incontrano tante stranissime creature. La favola si conclude con un povero e magico pranzo di Natale, nel bosco accanto al lager.

Vi offro - accompagnato da un’illustrazione dello stesso Guareschi - qualche stralcio della parte finale, quando l’incontro col papà è finalmente avvenuto, e si avvicina il momento dell’addio.


 

Mezzanotte...«È nato!» gridò un'allodola di vedetta su una nuvola.«Notizia confermata!» disse il Vento. «C'è anche il commento! Udite!»E portò un dolcissimo canto che veniva da lontane contrade.La solitaria capanna è tutta risplendente ora, e sulla paglia vagisce il Bambinello, e lo scaldano, col loro fiato, il bue e l'asinello.
Anche nel castello d'acciaio annidato nell'ombra del Nord, un bambino è nato e piange, nella sua culla corazzata. Ma lo scaldano col loro fiato micidiale un lanciafiamme e lo scappamento del carro armato. Ma la sua voce è aspra e le sue mani hanno già piccoli artigli perché è il Dio della Guerra e nessuno viene a portargli doni.
Mentre invece, alla capanna del Dio della Pace, giungono pastori e pastorelle recando agnelli e anfore colme di latte. Latte scremato: perché le pecorelle sono state tosate e la panna l'hanno adoperata per fare alle pastorelle un mantello di lanital. E i pastori se ne dolgono, ma san Giuseppe sorride: «Non importa: la colpa non è vostra, la colpa è della guerra».[…]
Fa freddo.Gli alberi hanno riallargato il loro cerchio e il Vento soffia gelido.Croci nere sono sparse nel bosco e attorno a ogni croce si aggirano mute ombre. E le croci sono tante, e le ombre sono infinite.«Chi sono, papà?»«Sono gli spiriti dei vivi che vengono a cercare i loro morti. Guardano tutte le croci che la guerra ha sparso nel mondo, leggono i nomi incisi sulle croci. E quando una mamma ritrova la tomba del suo figliolo, si siede sotto la croce e parla con lui di tempi felici che non torneranno mai più».Il Vento, intanto, riporta la canzone che è stata fino ai campi di prigionia e ritorna alle case, e la canzone che è stata alle case e ritorna ai campi di prigionia.«Buon Natale, mamma, buon Natale, Albertino», dice il babbo. «Ora ritornate a casa: la vostra canzone vi riaccompagnerà».«E tu non vieni, papà?»«Domani, Albertino...»«Domani o morgen?» chiede la nonnina.«Dorgen, mamma».«Papà, perché non mi prendi con te?»«Neppure in sogno i bambini debbono entrare laggiù. Promettimi che non verrai mai».«Te lo prometto, papà».
Se ne sono andati assieme alle loro canzoni e il bosco è muto e deserto.Nevica e una nuova soffice coltre si stende sull'altra indurita dal vento.Il cerchio verde attorno al fuoco è ridiventato bianco. Scompare la traccia dei sentieri.

[…]

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