05 dicembre 2015

Il presepe di don Camillo

Il Natale si avvicina; per questo desidero regalarvi una pagina - intensa e commovente - scaturita dalla penna di Giovannino Guareschi, il “papà” di Peppone e don Camillo. È tratta dal racconto “Paura”.

Ho dovuto operare qualche taglio, che inevitabilmente ha mutilato la narrazione; se permettete un suggerimento, andate a leggere la versione integrale, nella raccolta di Mondo piccolo.

Considerate questo post come un semplice, piccolo assaggio.

...Si era oramai sotto Natale e bisognava tirar fuori d'urgenza dalla cassetta le statuette del Presepe , ripulirle, ritoccarle col colore, riparare le ammaccature.

Ed era già tardi, ma don Camillo stava ancora lavorando in canonica. Sentì bussare alla finestra e, poco dopo, andò ad aprire perché si trattava di Peppone. Peppone si sedette mentre don Camillo riprendeva le sue faccende, e tutt'e due tacquero per un bel po'. [...]

Don Camillo continuò a ritoccare la barba di San Giuseppe. Poi passò a ritoccargli la veste.
«Ne avete ancora per molto tempo?» si informò Peppone con ira.
«Se mi dai una mano, in poco si finisce.»

Peppone era meccanico e aveva mani grandi come badili e dita enormi che facevano fatica a piegarsi. Però, quando uno aveva un cronometro da accomodare, bisognava che andasse da Peppone. Perché è così, e sono proprio gli omoni grossi che son fatti per le cose piccolissime. Filettava la carrozzeria delle macchine e i raggi delle ruote dei barocci come uno del mestiere.
«Figuratevi! Adesso mi mette a pitturare i santi! » borbottò. «Non mi avrete mica preso per il sagrestano!»

Don Camillo pescò in fondo alla cassetta e tirò su un affarino rosa, grosso quanto un passerotto, ed era proprio il Bambinello. Peppone si trovò in mano la statuetta. Senza sapere come, e allora prese un pennellino e cominciò a lavorare di fino. Lui di qua e don Camillo di là della tavola, senza potersi vedere in faccia perché c'era fra loro, il barbaglio della lucerna.

«È un mondo porco» disse Peppone. «Non ci si può fidare di nessuno, se uno vuol dire qualcosa. Non mi fido neppure di me stesso.» Don Camillo era assorbitissimo dal suo lavoro: c'era da rifare tutto il viso della Madonna. Roba fine.
«E di me ti fidi?» chiese don Camillo con indifferenza.
«Non lo so.»
«Prova a dirmi qualcosa, così vedi.»

Peppone finì gli occhi del Bambinello: la cosa più difficile. Poi rinfrescò il rosso delle piccole labbra. «Vorrei piantare lì tutto» disse Peppone. «Ma non si può.» «Chi te lo impedisce?» «Impedirmelo? Io piglio una stanga di ferro e faccio fuori un reggimento.» «Hai paura?» «Mai avuto paura al mondo!» «Io sì, Peppone. Qualche volta ho paura.» Peppone intinse il pennello. «Be', qualche volta anch'io» disse Peppone.
E appena si sentì. Don Camillo sospirò anche lui. [...]

Oramai il Bambinello era finito e, fresco di colore e così rosa e chiaro, pareva che brillasse in mezzo alla enorme mano scura di Peppone. Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma il tepore di quel piccolo corpo. E dimenticò la galera. Depose con delicatezza il Bambinello rosa sulla tavola e don Camillo gli mise vicino la Madonna.  […]

Il fiume scorreva placido e lento, lì a due passi, sotto l'argine, ed era anch'esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava. E per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo al l'acqua, c'eran voluti mille anni. E soltanto fra venti generazioni l'acqua avrà levigato un nuovo sassetto. E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l'ora su macchine a razzo superatomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all'anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino.




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