«Ricambiate i saluti militari, al vostro ritorno» mi intima. «'Portatrici' vi chiamano. Vi considerano un reparto, e non a torto. Credo sia la prima volta nella storia di un conflitto armato.»
Mi volto verso gli uomini accucciati con i fucili in mano.
I loro saluti rispettosi di poco fa non erano per il capitano.
Erano per me. Per noi.
Probabilmente molti conoscono Ilaria Tuti per i romanzi che hanno come protagonista la commissaria e profiler Teresa Battaglia ("Fiori sopra l'inferno", "Ninfa dormiente", "Figlia della cenere"), da cui è stata tratta recentemente una bella serie TV.
"Fiore di roccia", però, è qualcosa di molto diverso. Si distacca dai thriller dell’autrice, per raccontare una pagina poco conosciuta della Prima guerra mondiale: quella delle portatrici carniche, donne friulane che trasportavano viveri, munizioni e medicinali lungo i sentieri impervi della Carnia per rifornire i soldati al fronte.
La protagonista è Agata, una giovane donna che - come tante altre sue compaesane - risponde alla chiamata dell’esercito italiano per aiutare gli alpini. Con una gerla sulle spalle e scarpe di stoffa, affronta dislivelli e carichi impressionanti.
La vicenda personale di Agata si intreccia con quella collettiva delle portatrici, in un contesto drammatico di guerra, miseria, ma anche solidarietà genuina e sacrificio eroico.
"Cercano più le parole di conforto che le scorte di cibo" mormora Lucia, accanto a me. La vedo trattenere un sorriso e penso che non smetterà mai di essere madre di qualunque creatura inerme abbia bisogno di essere accolta. Chi può sorridere davanti a tutta questa devastazione, se non chi vuole con tutta se stessa continuare a vederci la vita? In mancanza di questa sua vocazione, nessuna di noi ora sarebbe qui.
La mia impressione è che con questo romanzo la Tuti abbia superato se stessa, grazie a uno stile evocativo e poetico, ora forte ora sfumato, che riesce a coinvolgere emotivamente il lettore a ogni pagina.
"Ho scelto di essere libera". Libera da questa guerra, che gli altri hanno deciso per noi. Libera dalla gabbia di un confine, che non ho tracciato io. Libera da un odio che non mi appartiene e dalla palude del sospetto. Quando tutto attorno a me era morte, io ho scelto la speranza.