25 aprile 2025

Hotel Nord America

Bologna, 1939, anno XVII dell'era fascista. Ventidue giovani donne - appena diplomate in ostetricia all'Alma Mater di Bologna - vengono inviate in Sardegna per esercitare la loro professione in una terra povera, in cui la mortalità infantile - soprattutto perinatale - è altissima (per miseria endemica, condizioni igieniche pessime, levatrici professioniste inesistenti). Nemmeno il tempo di salutare i familiari: il traghetto le attende.
Fra queste giovani c'è anche Ida.
In "Hotel Nord America" Giacomo Mameli racconta di lei, la prima "allevadora" del paese di Perdasdefogu, che in Sardegna si fermerà per sempre. E attraverso le vicende di Ida scorrono sullo sfondo quarant'anni di storia italiana.
Il romanzo avvince, perché l'essenzialità della prosa - quasi cronachistica - rende evidente come di spazio alla fantasia se ne sia lasciato poco. E non è un caso. Perché Ida era la madre dell'autore, e molte pagine del libro traggono spunto dai diari di lei.
E adesso, desidero offrirvi un assaggio, con il brano il cui si racconta il primo parto cui la giovanissima "allevadora" Ida assistette in terra di Sardegna.

- Metta acqua e la faccia bollire, attizzi il fuoco, non ci vedo, può fare un po’ più di luce?
Sigarino mette nel focolare frasche secche di leccio e corbezzolo, le fiamme rischiarano a lampi, riesco a vedere quanto devo vedere ma a sprazzi, diciamo che va tutto bene, sono in ballo, devo ballare, le scintille mi arrivano sulle gambe, sembrano punture di spilli, ma bruciacchiano pure, svolazzano anche nuvolette di fumo, come se fossero foglie più sottili delle foglie di leccio, devo evitare che arrivino da Filomena che spinge, spinge, ohi la schiena, quando nasce? È brava, soffre ma sorride, la capra bela, ciao Muduledda dice Filomena, ohi la mia schiena, io uso l’olio di oliva, Filomena gradisce, Sigarino mi porta il catino, si sente il raglio dell’asino di Crepantonio.
- Stiamo per farcela, Filomena, ancore un po’, spinga ancora un po’, respiri forte, spinga, ponzi.
- Come?
- Spinga, ci siamo.
- È nato il bambino? Unu pippìu?
Dal campanile di San Pietro arrivano undici rintocchi.
- No, è nata, è una bambina.
- Una pippìa.
Piange subito, è reattiva, sta passando dal caldo del grembo materno al freddo di una casa povera, meno male che siamo ad agosto. Prendo i miei ferri, pinzo il cordone ombelicale in due punti e taglio al centro, faccio proprio quello che facevo nella clinica universitaria di Bologna.
- Altra acqua calda Sigarino, è diventato padre di una bella bambina. L’avete deciso il nome?
- Come vuole lei, Signorida.
- No, come volete voi. Siete voi i genitori. Filomena come la vuol chiamare? E lei, Sigarino?
- Decide la mamma se è nata femmina.
- Allora la chiamiamo Maria, le piace? Professore che diceva
- E vuole che non mi piaccia quella che voi chiamate sa mamma de Deus? Auguri Filomena.
Devo legare il cordone ombelicale prima di accorciarlo. È una fase delicata quella subito dopo il parto. Ricordo il professore che diceva: “tagliate a trenta centimetri”. L’acqua calda arriva regolarmente, pulisco. Maria pi9ange, poi si assopisce un po’, figlia mia, figlia mia.
Poi di rintocchi ne arrivano dodici, è mezzanotte. Maria è attaccata alla mamma che l’accarezza.
- La posso baciare? – chiede Sigarino.
- Pulisca le labbra e la baci sulla fronte.
- Filgia mia. Filgia mia.
- Impara a dire filgia nostra, - precisa Filomena.
- Nostra e de Signorida.
Mi blocco un istante. Realizzo che, in una casa capanna, ho assistito al primo parto dopo il diploma. Mi asciugo le lacrime. Filomena non si accorge di nulla, guarda la sua bambina.


20 aprile 2025

10 aprile 2025

Leggere i geroglifici

Presso la biblioteca civica Pablo Neruda di Grugliasco è stato organizzato un corso di... lettura dei geroglifici egizi!

È destinato ai bambini dagli 8 ai 12 anni, ma si tratta di una cosa seria: ideato e condotto da Giulia Gulinelli, giovane laureata in Egittologia, il corso si articola in quattro lezioni di un'ora, una alla settimana. Istruttivo e divertente, aiuta a sviluppare pensiero critico, logica e memoria.

Attraverso il gioco e la creatività, i giovanissimi partecipanti apprendono:
  1. l'alfabeto egizio e il senso dei geroglifici;
  2. il mito della creazione e le divinità principali degli Egizi;
  3. le prime tombe egizie, le piramidi con i loro templi, la Sfinge, la Valle dei Re e delle Regine;
  4. i cinque nomi del faraone.
Dell'iniziativa hanno parlato in queste settimane diversi quotidiani e settimanali, fra cui La Stampa (con un'intervista alla giovane egittologa), Torino OggiLuna Nuova.  Il notevole successo di adesioni darà origine a una replica nel prossimo futuro (aperta - come molti si augurano - anche agli adulti).



02 aprile 2025

I fuoriposto

I “Displaced Persons Camps”, alla fine della seconda guerra mondiale, sono campi profughi creati in tutta Europa per accogliere rifugiati di varia origine, e soprattutto Ebrei sopravvissuti alla shoah. 
Nei DP Camps - gestiti dagli eserciti delle potenze vincitrici - gli Ebrei vengono non soltanto ospitati, ma anche aiutati a trovare un luogo di accoglienza e la possibilità di una nuova vita.

Siamo nel 1946. Uno di questi campi – eretto e gestito dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) - sorge in Salento, e fornisce assistenza agli Ebrei liberati dai campi di sterminio, in viaggio verso il nascente Stato di Israele. La popolazione locale, in miseria nera da tempo immemorabile, e ancor più provata dalla guerra appena conclusa, si ritrova a fare i conti (spesso a denti stretti) con questa realtà che si è insediata nella loro terra.

È questo il contesto storico e sociale che fa da sfondo a “I fuoriposto”, in cui Cosimo Buccarella racconta le vicende di quattro tredicenni alle prese con un mondo del tutto ignoto, foriero di rischi e di opportunità. Tra peripezie e disavventure, slanci di generosità e piccole astuzie, i quattro ragazzi vivono insieme un’esperienza che li aiuterà a diventare grandi.
Un buon libro, un autentico romanzo di formazione.




25 marzo 2025

Pippi: 80 anni, e non sentirli!

Il questo 2025 Pippi Calzelunghe compie... 80 anni!  Proprio così: nel 1945 vedeva la luce il primo romanzo di Astrid Lindgren. La ragazzina dalle trecce rosse era destinata a diventare un'autentica eroina per milioni e milioni di piccole donne. Vivace, indipendente, fortissima, furba, sempre allegra.
Non posso negare che quest'indimenticabile romanzo - unitamente ai telefilm tratti da esso - abbia accompagnato tutta la mia infanzia. E anche di più.
Permettetemi di offrirvene una pagina, con un sorriso.

C'era, alla periferia della minuscola città, un vecchio giardino in rovina; nel giardino c'era una vecchia casa, e nella casa abitava Pippi Calzelunghe. Aveva nove anni e se ne stava lì sola soletta: non aveva né mamma né papà, e in fin dei conti questo non era poi così terribile se si pensa che così nessuno poteva dirle di andare a dormire o propinarle l'olio di fegato di merluzzo quando invece lei avrebbe desiderato delle caramelle.
C'era stato, veramente, un tempo in cui Pippi aveva un papà al quale voleva un mondo di bene, e naturalmente anche una mamma; ma erano passati tanti anni che di lei non riusciva a ricordarsi. La mamma infatti era morta quando Pippi era una bimba piccina piccina, che stava nella culla e strillava in maniera così raccapricciante che nessuno resisteva a rimanerle vicino. Pippi era convinta che la sua mamma se ne stesse ora seduta in cielo e guardasse la sua bambina col cannocchiale attraverso un piccolo foro, così Pippi aveva preso l'abitudine di fare un cenno di saluto verso l'alto dicendo:"Non stare in pensiero per me! Io me la cavo sempre!"
Ma suo padre, Pippi non se l'era scordato. Era capitano di marina e navigava per il vasto mare; Pippi era sempre stata con lui sulla sua nave, finché un giorno, durante un temporale, lui era volato via ed era scomparso. Pippi però era sicurissima che sarebbe ritornato: il pensiero che potesse essere annegato non la sfiorava nemmeno. Era invece convinta che le onde lo avessero sospinto a terra, e precisamente in un'isola popolata di negri. Lì suo padre era diventato il loro re e per tutto il giorno camminava su e giù con una corona d'oro sulla testa.
"Un angelo per mamma e un re di una tribù negra per papà: non capita davvero a tutti i bambini di avere dei genitori tanto distinti!" diceva Pippi soddisfatta. "E appena il mio papà si sarà costruito una barca, mi verrà a prendere, e così diventerò la principessa di una tribù negra. Urrà! Allora sì che ci divertiremo!"
Era stato proprio il padre di Pippi a comperare quella vecchia casa in mezzo al giardino, molti anni addietro. Contava di andarcisi a stabilire con Pippi quando fosse diventato troppo vecchio per continuare a navigare. Ma poi gli era capitata quella stupida cosa di volare in mare e Pippi, in attesa di vederlo ricomparire, puntò decisamente su Villa Villacolle, eleggendola a sua dimora per il futuro.
Quello era infatti il nome della casa che, ammobiliata e perfettamente sistemata, non attendeva che il suo arrivo.
Era una bella sera d'estate quando Pippi disse addio all'equipaggio della nave di suo padre: i marinai le volevano un gran bene, e un gran bene voleva loro Pippi.
"Addio, ragazzi!" disse Pippi, e li baciò ad uno ad uno in fronte.
"Non state in pensiero per me! Io me la cavo sempre!"



21 marzo 2025

Spring

Auguri per una bella primavera
piacevole, luminosa,
e ricca di momenti rilassanti in cui leggere buoni libri!




09 marzo 2025

Grande meraviglia

Era già evidente in "Il treno dei bambini" e in "Oliva Denaro": Viola Ardone possiede il raro talento di saper trattare in modo lieve – spesso con accenti di delicata ironia – temi e storie di estrema drammaticità. 

In "Grande meraviglia" – ambientato negli anni ’80 del Novecento – l’autrice racconta la realtà feroce del manicomio, vista attraverso lo sguardo limpido e irriverente di una ragazzina. Qui Elba è nata, qui è cresciuta; qui incontrerà il dottor Meraviglia, giovane psichiatra che lotterà per "liberarla", e che nel rapporto con lei scoprirà in sé una sorta di maldestra paternità.

Fin dalle prime pagine – che qui vi offro come assaggio – si coglie l’assoluta originalità dello stile...

«Il mezzomondo è la casa dei matti, ci stanno i cristiani che sembrano gatti: non hanno la coda, non sanno miagolare, però sono gatti. Gatti da legare.

Stamattina è arrivata una Nuova e le ho dovuto spiegare tutto daccapo: in principio c’è Colavolpe, poi Lampadina, poi gli infermieri, poi i sorveglianti, poi nulla, nulla, nulla, poi sempre nulla. E infine i matti.

Devi sapere per prima cosa che qui e come il mare: ci sono le Tranquille e ci sono le Agitate. Un mare chiuso ma sempre mare, e in ogni mare si può navigare. Dentro al mezzomondo ci sta pure Elba, che sono io, ma per me questo è il mondo intero, perché il resto che c’è non so neppure cos'è. Aha.

La Nuova non parla, non dice il suo nome. All’inizio è così: fanno spesso il silenzio, poi alcune partono e non si fermano più, dicono insalate di parole, una lingua segreta che nessuno capisce. Ed è inutile starle ad ascoltare quando cominciano a burbureggiare.

Nessuna risposta. Conto fino a cinque virgola sei e poi ricomincio.

Vuoi sapere perché mi chiamo Elba? Chiedo alla Nuova. Lei strizza l'occhio sinistro: lo prendo per un sì. E il nome di un grande fiume del Nord che passa per la Germania, me lo ha dato la mia Mutti, che in tedesco significa mamma. Lo sai tu dov'è la Germania sulla carta geografica? Ce ne sono due: una gialla e una arancione, così ho imparato alla scuola delle Suore Culone, dove mi hanno mandata quando avevo nove anni, per farmi studiare. La mia Mutti veniva da quella arancione, che però adesso è tutta chiusa dentro al comunismo. Ci hanno fatto un muro intorno proprio come qui al mezzomondo, nessuno può entrare o può uscire, solo i fiumi scorrono liberi, perché non li si può fermare. Il fiume che porta il mio nome attraversa la Germania arancione e si getta nel Mare del Nord. Tutti i fiumi arrivano al mare, diceva la Mutti.

La Nuova si attorciglia nella coperta come una gatta scontrosa. Io mi frego con la nocca dell'indice la piccola gobba che ho sul naso tre virgola quattro volte e riprendo a spiegare.

La Mutti è scappata tanti anni fa dalla Germania arancione, però è finita ugualmente dietro un muro. L'hanno internata qui, ma non era da sola: aveva già me nella pancia, e tante cose dentro la testa. La matematica, le lingue straniere, i nomi di tutte le specie animali e vegetali, e la pazzia.

Sono stata cinque anni dalle Suore Culone, quando finalmente sono tornata la Mutti era sparita. Colavolpe ha detto che è morta, ma io non gli credo, perché ogni tanto sento la sua voce. La Nuova sospira e una puzza di fame si spande per la stanza. Che credi? Mica sono come le stralunate del terzo piano, che le voci le immaginano soltanto! Altrimenti Colavolpe mi avrebbe spostato con loro, perché lui e il capintesta del mezzomondo e comanda sui pazzi e sui sani, sia bestie che umani.

La Nuova alza le spalle e si mummifica nella coperta, forse ha un po' freddo come noi tutte. Solo che alcune hanno freddo sopra la pelle, altre sotto, come me...».



06 febbraio 2025

Il secondo piano

Anno domini 1944. Roma, sul finire della guerra, è stretta in una morsa implacabile. Gli Alleati, sbarcati in Italia da mesi, tardano a raggiungere la Capitale; intanto i Tedeschi, prossimi alla sconfitta, diventano più feroci che mai. Ogni tentativo di ribellione è soffocato nel sangue (siamo nei giorni cupi delle Fosse Ardeatine, per intenderci). Il ghetto ebraico viene rastrellato, ovunque serpeggia il terrore.

Eppure, lontano dai teatri di guerra, lontano dalle stanze del potere, gesti di eroismo nascosto scrivono luminose pagine di storia. Come quelle di tanti conventi e luoghi sacri che si aprono clandestinamente all'accoglienza dei più disperati.

Ritanna Armeni si cimenta nel racconto intenso di una di queste pagine di storia: un gruppo di suore francescane accoglie alcuni ebrei sfuggiti al rastrellamento del ghetto, e li nasconde al secondo piano del convento. Poco tempo dopo, un comando tedesco requisisce il pianterreno per installarvi un'infermeria militare. Iniziano così lunghi mesi di rischio costante, in cui l'attenzione deve mantenersi ai massimi livelli giorno e notte.

Dato il contesto, "Il secondo piano" potrebbe essere un romanzo cupo, angosciante, opprimente. Invece fin dalle prime pagine si rivela una storia delicata, bella. In cui eroismo e semplicità, ribellione e quotidianità si miscelano con equilibrio lieve. E la lettura scorre.

«Il campanello ruppe il silenzio e attraversò l’androne; deciso e prolungato, il suono superò la vetrata che dava sul giardino e arrivò suor Lina.
La novizia, che stava raccogliendo le lenzuola stese ad asciugare sui fili tesi tra gli alberi, lo sentì bene ma decise di non precipitarsi al portone. Ci sarebbe andata qualche altra sorella, lei aveva cose più urgenti da fare. Doveva salvare la biancheria
»...



16 gennaio 2025

Una scorta abbondante di libri

Siamo accumulatori seriali di libri? Ce ne procuriamo più di quanti riusciamo a leggere?
Allora diamo un'occhiata a quanto diceva Umberto Eco:

"È sciocco pensare che si debbano leggere tutti i libri che si comprano, come è sciocco criticare chi compra più libri di quanti ne potrà mai leggere. Sarebbe come dire che bisogna usare tutte le posate o i bicchieri o i cacciavite o le punte del trapano che si sono comprate, prima di comprarne di nuove. Nella vita ci sono cose di cui occorre avere sempre una scorta abbondante, anche se ne useremo solo una minima parte. Se, per esempio, consideriamo i libri come medicine, si capisce che in casa è bene averne molti invece che pochi: quando ci si vuole sentire meglio, allora si va verso “l’armadietto delle medicine” e si sceglie un libro. Non uno a caso, ma il libro giusto per quel momento. Ecco perché occorre averne sempre una nutrita scelta! Chi compra un solo libro, legge solo quello e poi se ne sbarazza, semplicemente applica ai libri la mentalità consumista, ovvero li considera un prodotto di consumo, una merce. Chi ama i libri sa che il libro è tutto fuorché una merce".

Se amiamo i libri non temiamo di farne scorta. Potranno essere utili quando giungerà l'inverno.


11 gennaio 2025

Mio fratello rincorre i dinosauri

Dopo aver visto il bel film Mio fratello rincorre i dinosauri, ho desiderato leggere il libro da cui era stata tratta la sceneggiatura. Ottima scelta: senza nulla togliere alla versione cinematografica, la storia originale - scritta in prima persona da Giacomo Mazzariol - riesce a rendere indimenticabile la vicenda umana di questo ragazzo che deve fare i conti con un fratellino dotato "di un cromosoma in più". Privo di alcune "aggiunte" (a mio parere discutibili e tutto sommato superflue) che il film ha voluto apportare, il libro è semplicemente stupendo. Un autentico romanzo di formazione, che però non è un romanzo. È una storia vera. Carne e poesia.

Permettetemi di offrirvene uno stralcio, che saprà farvi sorridere e commuovere...

Iniziai a pedinarlo. Ero stramaledettamente affascinato dal mio fratello speciale e tentavo di capire in cosa consistesse davvero la faccenda. Appena mia madre lo abbandonava un secondo sul passeggino o in qualche altro aggeggio predisposto per contenerlo, appena lei si voltava per fare qualcosa, riordinare un cassetto o chessò io, calavo su di lui come un satellite spia di Guerre Stellari.
– Posso farti una domanda? – chiesi a mamma un pomeriggio che fuori stava nevicando. Lei era nel bagno blu – il bagno dei grandi, il bagno proibito ai figli, quello dove papà si sbarbava e lei si metteva le creme – io ero sdraiato sul letto, la mano a sostenere la guancia, a osservare Gio come al solito.
– Certo.
– Ma perché lo avete fatto cosí?
– Cosí come?
– Cinese.
– È che ce l’hanno offerto sudamericano o orientale, e oggi, sai, vanno di moda le lanterne rosse, i motivi floreali, il sushi –. Mamma si affacciò dal bagno. – Lo preferivi messicano?
Mi lasciai crollare sul cuscino, sbuffando.
– E poi, scusa, – continuò lei, – non hai condotto quella ricerca sul perché Gio era speciale? Ti ricordi? Le domande che hai rivolto a me e a papà… cos’avevo mangiato il giorno prima, se ero andata a passeggiare con la mamma di Antonio… Allora?
– Allora cosa?
– Non hai scoperto nulla?
– Poco, – dissi.
Mamma uscì dal bagno e aprì la cassapanca per prendere gli asciugamani. – Giacomo… – disse, con quella voce dolce e profonda al tempo stesso che mette su quando c’è della verità vera in quello che sta per dire, – nella vita ci sono cose che si possono governare, altre che bisogna prendere come vengono. È talmente più grande di noi, la vita. È complessa, ed è misteriosa… – Mentre lo diceva aveva gli occhi che luccicavano: lei ha sempre questi occhi pieni di stelle quando parla della vita, anche oggi. – L’unica cosa che si può sempre scegliere è amare, – disse. – Amare senza condizioni.



13 dicembre 2024

Favola di Santa Lucia

Oggi in alcune città italiane i bambini ricevono i doni da Santa Lucia.
Caso vuole che proprio ieri, sfogliando "Mondo Piccolo" di Giovannino Guareschi, mi sia imbattuta nella storia di Cesarino, un bimbo che in Santa Lucia credeva con tutto se stesso. 
L'innocente freschezza di Cesarino riuscirà a trasformare il cuore di suo padre, inaridito dalla fatica e dal dolore.
"Favola di Santa Lucia" inizia così...


Cesarino si alzò e, prima ancora di lavarsi, prese il lapis blu e cancellò sul calendario un altro giorno. Ne rimanevano ancora tre che poi erano due in quanto il terzo era quello famoso. Mentre si lavava con l’acqua gelata, Cesarino d’improvviso ebbe un pensiero: “E la crusca?” Era una cosa importante. ma risultava anche logico che non ci avesse pensato perché fino all'anno prima, tutto si era svolto laggiù, al paese dove per trovare della crusca, bastava allungare una mano. Gli venne in mente il pane fatto in casa, e il profumo che usciva dal forno. Risentì il cigolio della gramola e pensò a sua madre. Uscì in fretta e passando dalla portineria, si fermò per consegnare la chiave alla portinaia: suo padre era andato via alle quattro perché, in quei giorni, c’era un sacco di lavoro per chi aveva un camion. 
La strada era piena di gente che aveva una premura maledetta e la nebbia di quella fradicia mattina di dicembre era traditrice perché macchine e ciclisti saltavano fuori d’improvviso da ogni parte e bisognava stare attenti. Non poté pensare molto alla faccenda della crusca, ma quando fu a scuola, riprese a pensarci. Aveva dimenticato l’asino e adesso erano guai. Bisognava mettere sul davanzale, vicino alla scarpa, anche il sacchetto pieno di crusca per l’asino che portava le ceste dei regali. A non mettere la crusca, Santa Lucia si sarebbe offesa certamente. 
Cesarino, quando alle dodici e mezzo lo lasciarono libero, corse subito alla panetteria e domandò un po’ di crusca. Ma di crusca non ne avevano. Ed era anche logico perché, in una città come Milano, a cosa potrebbe servire la crusca? Provò da un altro panettiere, poi da un terzo e, alla fine, perdette la speranza. 
Arrivato a casa, trovò la chiave ancora in portineria: suo padre non era ancora arrivato e Cesarino mangiò da solo nella cucina fredda e in disordine. Il padre tornò la sera, ma non salì neppure in casa: lo chiamò dal cortile e assieme andarono alla trattoria dell’angolo. 
La minestra calda diede a Cesarino tanta gioia da fargli dimenticare tutte le sue preoccupazioni ma, quando ebbe finito di mangiare, le preoccupazioni ritornarono a galla. Cesarino aveva una soggezione tremenda di suo padre che era un uomo cupo e di poche parole, quindi fece una fatica matta a entrare in argomento. Alla fine gli disse: — Ci vorrebbe un po’ di crusca. — 
Il padre di Cesarino stava parlando con un uomo in tuta che era venuto a bere un bicchiere in compagnia: si volse sbalordito e domandò: 
— Crusca? E cosa te ne fai della crusca? 
— Ci vuole per l’asino, — balbettò il ragazzo. 
L’uomo in tuta si mise a sghignazzare e domandò di che asino si trattasse. 
— L’asino di Santa Lucia, — spiegò Cesarino timidamente. 
L’uomo in tuta sghignazzò ancora più forte, ma il padre di Cesarino gli strinse d’occhio poi, rivoltosi al ragazzino, gli disse brusco: 
— Lascia perdere l’asino. Qui Santa Lucia non usa. 
Il ragazzo lo guardò perplesso: 
— Santa Lucia sul calendario c’è! 
— C’è, ma non usa! — esclamò secco il padre. — Sul calendario c’è anche Sant’llario allora: ma, qui, invece, usa Sant’Ambrogio. Ogni città ha i suoi santi. Qui è il Bambino che porta i regali. Qui usa il Bambino. 
Il ragazzo guardò l’uomo in tuta, e quello gli confermò il fatto. 
— Perbacco, è proprio così! I santi sono delle autorità provinciali e ognuno ha la sua provincia. Qui la faccenda è di competenza del Bambino. 
Cesarino abbassò la testa, poi preoccupatissimo obiettò: 
— Ma il Bambino non mi conosce: è soltanto sei mesi che sono a Milano. 
L’uomo in tuta lo rassicurò: 
— Stai sicuro che il parroco del tuo rione lo ha già informato che siete qui tu e tuo padre! Ad ogni modo, per essere più sicuro, scrivi a De Gasperi così lui glielo dice. 
Altri due o tre che si erano avvicinati si misero a ridere e allora il padre intervenne e disse a Cesarino: 
— Adesso va a casa e mettiti a letto. Lascia la chiave sulla porta. 
Il ragazzino uscì e il padre spiegò la storia a quello della tuta ed agli altri: 
— Sono stupidaggini, ma non posso dirglielo così, in quattro e quattr’otto! È sua madre che gli ha messo in testa queste cretinate e, anche il giorno prima di morire, mi ha raccomandato: “Carlo, lascialo stare, il ragazzo. Lascialo così com’è. Quando sarà ora, capirà da solo. Non mi far dispetto quando sarò morta.” 
L’uomo allargò le braccia: 
— Ragazzi, se si tratta di far dispetto a un vivo, ci sto anche se c’è da scannarsi: ma non mi va di far dispetto a un morto. È soltanto sei mesi che è morta! 
Quello dalla tuta scosse il capo: 
— Sentimentalismi idioti, roba da medioevo! Intanto tu, per non far dispetto a un morto, fai dispetto a tuo figlio vivo perché gli lasci la testa piena di stupidaggini. 
— Non ti preoccupare, — ribatté il padre di Cesarino. — Quando vedrà che né santi né Madonna gli portano più niente, si convincerà da solo. 
[...]

25 novembre 2024

Libri sotto l'albero

Permettetemi un "angolino pubblicitario", visto che manca un mese al Natale. Avete pensato a regalare un libro? Ecco dunque qualche suggerimento:
I romanzi possono essere acquistati:
🎄 Nelle librerie (se non sono presenti negli scaffali, possono essere prenotati).
🎄 Negli store online (in alcuni casi è previsto uno sconto sul prezzo di copertina).
🎄 Rivolgendosi ai rispettivi editori e distributori.
🎄 Contattando direttamente l’autrice.

Buona lettura, a voi e alle persone cui volete bene!



09 novembre 2024

I buoni libri

Con l'approssimarsi di festività o vacanze, abbondano per ogni dove i "consigli per gli acquisti" in libreria. 
Quali testi regalare per Natale? Quali romanzi portarsi in vacanza? 
Negli scaffali dei negozi e delle biblioteche abbondano best seller e proposte di vario genere; ma talvolta si tratta di "robaccia", e pare che in certi luoghi "letteratura" faccia rima con "spazzatura". 
Invece, quanto bene fa la lettura di un «buon libro». Don Bosco, che se ne intendeva, spese parole decisamente forti (ma anche molto poetiche) su questo tema: 

Carissimi figlioli, 
Quello che io intendo caldamente raccomandarvi, per la gloria di Dio e la salute delle anime, è la diffusione dei buoni libri. Io non esito a chiamare Divino questo mezzo... 
Il libro se da un lato non ha quella forza intrinseca della quale è fornita la parola viva, da altro lato presenta vantaggi in certe circostanze anche maggiori. 
Il buon libro entra persino nelle case ove non può entrare il sacerdote, è tollerato anche dai cattivi come memoria e come regalo. Presentandosi non arrossisce, trascurato non s'inquieta, letto insegna verità con calma, disprezzato non si lagna e lascia il rimorso che talora accende il desiderio di conoscere la verità: mentre esso è sempre pronto ad insegnarla. 
Talora rimane polveroso sopra un tavolino o in una biblioteca. Nessuno pensa a lui. 
Ma viene l'ora della solitudine, o della mestizia, o del dolore, o della noia, o della necessità di svago o dell'ansia dell'avvenire, e questo amico fedele depone la sua polvere, apre i suoi fogli... 


[Tratto da: San Giovanni Bosco - «Circolare ai Salesiani per la diffusione dei buoni libri» - 19 marzo 1885] 



19 ottobre 2024

La signora delle Fiandre

È possibile scrivere un romanzo storico-biografico con una protagonista femminile, senza cedere alla tentazione del “rosa” a tutti i costi? Senza inventare per forza intrighi di corte, tradimenti, segreti? Senza arricchire la trama con amori e amorazzi di ogni genere e specie? E, nonostante il rigore, dare alla luce un’opera avvincente, piacevole da leggere, godibilissima?

In “La signora delle Fiandre”, Giulia Alberico ci è riuscita.

Siamo verso la fine del ‘500. Margherita d'Austria - figlia amata (ancorché illegittima) dell'imperatore Carlo V, duchessa di Parma e Piacenza, governatrice delle Fiandre - giunta al tramonto della sua intensa vita ne fa il bilancio con lucidità e coraggio. Ricorda gli anni della fanciullezza e quelli della maturità; gli eventi storici di cui è stata spettatrice o addirittura protagonista; le persone cui ha voluto bene e quelle che avrebbe voluto amare di più.
Sullo sfondo, sempre presente e struggente, la domanda sul senso della propria vita.
Permettete di offrirvene un assaggio…

Purtroppo devo confessare che non sono per niente pacificata, così come ho lasciato intendere agli altri e a me stessa, con l'idea di morire. Nonostante l'infermità e gli anni, vorrei vivere ancora. Questo mondo, tutto, anche questo angolo di mondo di Ortona a Mare, mi interessa, mi chiama, mi fa sentire viva.
Questa vita mezza piena e mezza vuota, così fragile, così faticosa e splendida, vorrei trattenerla ancora a lungo.
Il mondo l'ho girato, conosciuto, spesso sono stata superficiale, distratta, non l'ho apprezzato al momento ma ha sempre finito per sorprendermi con qualcosa di stupefacente. Fossero i tulipani rossi sbocciati dopo la morte di De Marchi, fosse la storia di Dorotea, fossero le ultime rose nel vaso di Delft. Non so come spiegarlo ma c’è nel mondo una quantità di bellezza, di vita, che mi ha sempre tirato fuori dal sopore, dal letargo delle emozioni. Non finirà mai di stupirmi questa vita terrena. La musica, per esempio, qualcosa che non sono certa potrò ascoltare in cielo o dove Dio mi comanderà di stare.
E pensare di non udire più la musica della vihuela mi è intollerabile.
Ho paura, ho paura di morire. Ho sempre finto un sovrano distacco da questo congedo che e di tutti. Quando ero molto giovane era una tappa lontana, un pensiero inconsistente. Da donna matura e stato un pensiero più assiduo ma la preghiera, l'esercizio religioso mi parevano angeli custodi, un accompagnamento all'idea del distacco.
Oggi, vicinissima all'appuntamento, confesso che ho paura.
Spero di non rendermi conto. Sarebbe orribile.



24 settembre 2024

Le due mogli di Manzoni

Teresa – giovane vedova benestante della Milano "bene" ottocentesca - è un’appassionata ammiratrice di Alessandro Manzoni: legge avidamente “I promessi Sposi” (nella prima versione del 1827), apprezza l’opera, e attraverso il libro si innamora dell’autore, quell’uomo fatto «come il mio cuore desidera».

Il Manzoni ha quasi cinquant’anni quando Enrichetta, la sua prima moglie, muore. E Teresa riesce a realizzare il proprio sogno, sposando in seconde nozze l’uomo di cui subisce perdutamente il fascino. Ma non sarà una vita coniugale facile: l’ombra di Enrichetta aleggerà sempre in quella casa, e la memoria di lei persisterà come termine di paragone inevitabile. 

Teresa è una donna intelligente, colta, sensuale, determinata. Cerca di instaurare un rapporto affettuoso e franco con i sette figli di Alessandro; si sforza persino di non entrare in rotta di collisione con la suocera (e non è certo una persona facile, Giulia Beccaria). 

Teresa ama tanto - troppo? - Alessandro, e riesce a regalargli una sorta di seconda giovinezza. Lui contraccambia come può, pur con tutte le sue fragilità e i suoi limiti, le sue nevrosi e i suoi aspetti problematici. Teresa persevera in questo amore disequilibrato e profondo, venerando suo marito fino all’ultimo, e impedendo a se stessa si chiedersi quanto quel matrimonio l’abbia davvero resa felice.

«Le due mogli di Manzoni» è un romanzo storico biografico con accenti di straordinaria modernità, ma le licenze narrative sono esigue e marginali. L’autrice Marina Marazza ha avuto a disposizione una mole incredibile di fonti scritte da cui attingere (diari, lettere, messaggi, preghiere, cronache locali, persino il biglietto del salumiere). Ogni episodio narrato nel romanzo trova il suo riscontro nei documenti, e spesso è espresso addirittura con le stesse parole della fonte originaria. Non è stato necessario inventare: c’era già tutto.

Intorno alla famiglia Manzoni ruotano artisti, letterati, patrioti. Le vicende del Risorgimento attraversano ogni anno della loro vita. E la ricostruzione storica è di un rigore impeccabile.



12 settembre 2024

10 anni di libri

Sono trascorsi esattamente dieci anni dalla pubblicazione del primo romanzo. Dieci anni, e cinque libri.

Per festeggiare la ricorrenza, un lettore ha interrogato in merito l'intelligenza artificiale...

«Laura Blandino è un’autrice italiana nota per i suoi romanzi di formazione. Negli ultimi dieci anni ha scritto cinque opere che esplorano temi legati alla crescita personale e alla scoperta di se stessi.

Laura Blandino ha creato opere che affrontano le sfide dell’adolescenza e dell’età adulta, offrendo ai lettori spunti di riflessione e ispirazione.

Lo stile di scrittura di Blandino è coinvolgente e accessibile, con una particolare attenzione ai dettagli emotivi e psicologici dei personaggi. I suoi romanzi sono spesso caratterizzati da una narrazione fluida e da un linguaggio semplice ma evocativo, che riesce a catturare le sfumature delle esperienze adolescenziali.

Il messaggio centrale dei suoi romanzi di formazione è l’importanza della crescita personale attraverso le relazioni e le esperienze di vita. Blandino esplora come gli incontri e gli eventi imprevisti possano influenzare profondamente il percorso di maturazione dei giovani, portandoli a una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che li circonda».

[Copilot]



31 agosto 2024

Gli occhi di Monna Lisa

Lisa è una ragazzina sveglia e sensibile, che un giorno - all’improvviso – perde la vista per alcune ore. Gli accertamenti medici non evidenziano anomalie agli occhi, ma rimane il timore che il disturbo possa ripresentarsi. L’oculista suggerisce una terapia con uno psichiatra infantile, ma il nonno Henry non è dello stesso parere: se davvero Lisa rischia di perdere la vista per sempre, la cosa più importante è farle vedere più bellezza possibile, prima che scenda il buio.

Nasce così tra il nonno e la nipote una consuetudine segreta: ogni settimana Henry - fingendo con i genitori di accompagnare Lisa dallo psichiatra – in realtà la porta a visitare alcune tra le più belle opere d’arte ospitate dai musei parigini (il Louvre, il Museo d’Orsay, il Beaubourg). Un’opera a settimana, per cinquantadue settimane: un anno di bellezza, di contemplazione, di dialogo. Intanto il rapporto tra il nonno e la nipote cresce, e Lisa si affaccia sull’adolescenza.

L’autore Thomas Schlesser è storico dell’arte, prima ancora che scrittore, e sa il fatto suo. L’inserto fotografico all’interno del volume aiuta a seguire le descrizioni tenendo sotto gli occhi le immagini delle cinquantadue opere d’arte.

Se non si concludesse con un esplicito spot pro-eutanasia (piuttosto smaccato, e sostanzialmente inutile ai fini dell’intreccio narrativo), «Gli occhi di Monna Lisa» sarebbe il romanzo perfetto, per chi ama la letteratura e l’arte in pari misura. 
Lo stile è scorrevole, e a tratti quasi poetico; vi regalo una pagina intensa di delicatezza, e di colore.

Esposti all’aria cocente di luglio, i platani di Parigi erano ingialliti. Mentre camminava accanto al nonno, Lisa li notò.
«Dove va a finire il verde, quando scompare?» chiese. 
Henry si fermò di colpo. La domanda non aveva alcun senso dal punto di vista scientifico, naturalmente, ma era un enigma con una profonda risonanza metafisica. Scrutò l'orizzonte in silenzio per poi parlare con calma, a voce bassa.
«Hai ragione, Lisa...Dove vanno a finire il bianco della neve che si scioglie, il rosso del vulcano che si spegne, il porpora dell'amaranto che sfiorisce, il marrone dei capelli che ingrigiscono, l'azzurro del cielo quando il giorno finisce? Forse esiste un paradiso dei colori? Sono sicuro che lì i colori cantano, tuonano ed esplodono, si mescolano e si confondono, e volano via per tornare indietro. All'infinito».
La bambina osservò un castagno imponente come un gigante. 
«Sai, Dadé, presto, con l'arrivo dell'autunno, il giallo delle foglie diventerà arancione; quindi, se lo guardo a lungo, forse questo giallo mi colerà nella mente. Chissà, magari il paradiso dei colori e dentro di me!» esclamò.



08 agosto 2024

L'elisir dei sogni: la saga dei Campari

«Quel liquido rosso sanguigno era per il bambino la prova più tangibile dell’esistenza di suo padre e in esso immaginava racchiusa l’essenza stessa dell’uomo: una bevanda che ne portava il nome e che – ne era convinto – doveva essere spremuta direttamente dal suo enorme corpo, là sotto in cantina

Il giovanissimo Davide Campari ha un grande sogno: seguire le orme del padre Giacomo, morto prematuramente, e proseguire l’attività di famiglia creando nuovi elisir. Supportato dalla madre Letizia, coraggiosa e dolce a un tempo, Davide riuscirà a trasformare la liquoreria di famiglia in un’azienda che varcherà i confini del secolo.

Amo le saghe familiari che ripercorrono le vicende imprenditoriali e umane di chi ha saputo incidere sulla realtà (economica, sociale, spesso anche culturale) del proprio tempo. Penso a «I Leoni di Sicilia» (saga dei Florio, acclamato best seller), oppure a «La salita dei giganti» (saga dei Menabrea, che ho apprezzato oltre ogni dire). 

«L'elisir dei sogni» si colloca sulla stessa scia; Silvia Cinelli racconta – dosando bene precisione storica e creatività narrativa – la saga dei Campari, creatori del Bitter rosso e frizzante che ancor oggi volentieri sorseggiamo. 
Intorno ai personaggi principali ruota il mondo della Milano di fine Ottocento, con i suoi fermenti e le sue contraddizioni. 

«Sono strani questi tempi moderni, sono folli, scriteriati, sono tempi di lotte e di tentazioni rivoluzionarie.»



20 luglio 2024

La regina senza trono: Amalasunta, figlia indomita di Teodorico il Grande

 «La regina senza trono: Amalasunta, figlia indomita di Teodorico il Grande» ha accompagnato piacevolmente un tratto della mia estate. 
Ornella Albanese ha saputo rendere con talento i fatti, la cultura, le atmosfere di un’epoca lontana e affascinante. Nello stesso tempo, ha sviluppato con delicatezza la tematica del rapporto di Amalasunta con suo padre Teodorico, il sovrano ostrogoto passato alla storia come “il grande”.

Certi accenti di femminismo ante litteram potrebbero sembrare anacronistici; così come certe pagine d’amore potrebbero non incontrare i gusti di chi – come me – ama poco il genere “romance”. Però l’opera è, nel complesso, un romanzo storico gradevolissimo, che ha il pregio di far rivivere una Ravenna splendida, nel massimo del suo fulgore artistico. E riaccende il desiderio di tornare a visitarli, quei mosaici indimenticabili.

Ecco la pagina in cui la piccola Amalasunta – accompagnata da suo padre - contempla con occhi pieni di stupore il Mausoleo di Galla Placidia…

Ravenna, 503 d.C.
Dovette piegare la testa all’indietro per vedere la sommità dell’edificio. Era ancora piccola e tutto le sembrava incombente. 
«Le pietre sono importanti, Amalaswintha.»
Era alto, accanto a lei, e robusto. Sul terreno, l’ombra di suo padre il re si disegnava enorme, rispetto alla sua. Non capitava spesso di stargli così vicino e l’emozione le si impigliò in gola. Spostò lo sguardo sul suo viso, notando le piccole rughe intorno agli occhi, la cicatrice in rilievo sullo zigomo, i capelli color del grano a sfiorargli le spalle. La sua voce aveva un timbro profondo che le dava sicurezza, e una solennità molto regale.
«Guarda come si incastrano alla perfezione e in modo ardito.»
Con gesti tranquilli indicava la chiesa che avevano di fronte, severa e maestosa contro il blu del cielo incendiato del tramonto. «Niente è impossibile alle pietre. Possono costruire strutture temerarie trovando impensabili punti di equilibrio. Saranno loro a parlare di noi a quelli che ci seguiranno.»
Amalaswintha si sforzò di osservarle con gli stessi occhi di suo padre, perché Rugio ripeteva spesso che lo sguardo del re andava più lontano di quello di chiunque altro. […]
Entrarono nel nartece e camminarono vicini per un breve tratto del porticato, poi superarono i tre archi maestosi passando accanto a colonne poggiate su basi di marmo rosso. Suo padre prese dal muro una torcia accesa ed entrarono nel piccolo edificio. Il marrone esterno del cotto non lasciava immaginare l’incanto che avrebbero trovato dentro. Il cielo li sovrastava, e le piccole tessere del mosaico rifulgevano alla luce oscillante della fiamma. Un blu luminoso tempestato di stelle d’oro.
«Come può un cielo di pietra essere più lucente di quello vero?» chiese lei, estatica.


19 giugno 2024

L'età fragile

Donatella Di Pietrantonio, già apprezzata in L'arminuta, ci regala in L'età fragile una nuova storia drammatica e semplice allo stesso tempo. Di quelle che si leggono con scioltezza, ma poi rimangono nel tempo.
Vi regalo un assaggio della prima pagina...

Il disordine che trovo al mattino mi ricorda che non sono piú sola. Amanda è tornata, mi guardo intorno e inciampo nelle sue tracce: sul bracciolo del divano il piatto con un pane smozzicato, e nel bicchiere un residuo di bevanda. La coperta è ammucchiata in un angolo, accanto al libro rovesciato sempre sulle stesse pagine.
Negli ultimi tempi il sonno ha perso in leggerezza, non la sento muoversi in casa. Solo a volte quando mi giro su un fianco i suoi passi tardivi vibrano fino al pavimento della mia camera.
Non so a che ora si sveglierà. Bevo il caffè, metto in tavola i biscotti e l’unica tazza rimasta della sua adolescenza. Dalla finestra il sole ci cade sopra, illumina la mucca con un ciuffo d’erba in bocca.
Lascio il bricco vuoto sul fornello, un segnale per dire: scaldati il latte. Potrà macchiarlo con il caffè rimasto nella moka oppure ignorare tutto. Potrà apprezzare il mio pensiero per lei o scocciarsi di essere trattata come una bambina.
Non capisco i suoi turni di lavoro, se cosí posso chiamarlo, uscite e rientri a casa mi risultano imprevedibili. Ogni mia domanda in proposito la irrita. Cerco di incontrarla ai pasti.
Mi accerto che in frigorifero ci sia qualcosa di nutriente, nel caso salti la colazione. I gusci perfetti delle uova mi rassicurano. È sempre magra, mia figlia.
Tolgo scarpe e ciabatte dal tappeto, sparecchio il divano. Se arrivasse qualcuno, mi vergognerei di farglielo vedere cosí. È spento il telefono di Amanda sotto la coperta.
Posso andare. Oggi sto dal nonno, le scrivo su un foglio. Lo appoggio vicino al vaso di tulipani gialli. Aggiungo un cuore per lei, che subito cancello.



12 giugno 2024

Sovrabbondanza

In «Sovrabbondanza. Cronaca di una famiglia extra-large e per di più cattolica», Marcello Belletti - padre di sette figli - condivide molto di sé. 
Per parlare di quest'opera così particolare, attingo alla recensione che mio marito ha voluto pubblicare su una nota piattaforma di e-commerce:

«Un libro "scoppiettante" di vita e di fede, in una miscela perfettamente amalgamata delle due.
Una miscela per nulla "costruita" o forzata, come in certe agiografie zuccherose che ti fanno pensare che, se la vita di fede è questo, allora tanto vale...
No, qui ci sono la carne e il sangue, c'è l'aspettativa mai delusa che quella carne e quel sangue, quell'amore coniugale non comune, quel "diluvio di figli", quella totale mancanza delle sicurezze di cui siamo tutti schiavi (economica, lavorativa, caratteriale, ecc.) non sono "affar nostro" ma sono prima di tutto affar Suo, che ci crea e che ci salva».



30 marzo 2024

Risurrezione

A pochi passi dalla vetta del monte Križevac, Domitilla si imbatte in qualcosa di nuovo. 
E se la Risurrezione di Gesù fosse non solo un lontano concetto devozionale, ma qualcosa di molto più vivo, concreto, interessante?
Con una pagina tratta dal decimo capitolo del romanzo, auguro di cuore a tutti i lettori una
Buona Pasqua 
💙

Erano ormai vicini alla vetta del Križevac. Le quattordici stazioni della Via Crucis erano terminate, ma un’ulteriore formella li attendeva: quella che raffigurava la resurrezione. Gesù si librava sfolgorante sopra il sepolcro vuoto, con i capelli che parevano mossi dal vento. Ai suoi piedi era raffigurato un campionario di varia umanità: uno che dormiva, indifferente; uno che si copriva gli occhi, come per non vedere; uno che levava le braccia verso il Risorto. E poi c’era la Madonna, con le mani giunte e il volto sereno, lo sguardo fisso sul Figlio.
- Sei risorto, Gesù – disse il sacerdote, con la voce rotta per l’emozione – Sei risorto come avevi promesso. Hai sconfitto la morte, hai smascherato il Male. Signore, disperdi con la Tua luce ogni tenebra in noi e nelle nostre famiglie, nel mondo e nella Chiesa. Gesù, vivo e glorioso, facci crescere nella comunione di vita con Te!
Andrea imbracciò la chitarra e iniziò ad arpeggiare. Intonò un canto pieno di gioia:
Tu, Signore amante della vita
Mi hai creato per l'eternità
La vita mia tu dal sepolcro strapperai
Con questo mio corpo Ti vedrò.
Domitilla sentì la pelle delle braccia che si accapponava. Proprio lei, Tilly Tornabuoni, era stata creata per l’eternità. E anche nonna Flo, e i suoi genitori, e Pat, e… Creati per l’eternità! Non capiva ancora bene la portata di tutto questo, ma ne intuiva il senso: al di là del dolore e della fatica, al di là della banalità quotidiana, addirittura al di là della malattia e della morte, i loro giorni erano impastati d’infinito.
Fa che possa dire: "Cristo vive anche in me"
E quel giorno io risorgerò.
Okay Signore, pensò Domitilla, adesso ho capito che cosa voglio: risorgere anch’io. 



24 marzo 2024

Lucietta. Organista di Vivaldi

«Vi dico che questa Lucietta è la più brava organista del mondo. Io son rimasto a bocca aperta: corre sulla tastiera che pare una furia, senza mai fallare; ha cantato quell’aria accompagnandosi da sé, che eravamo tutti colle lagrime agli occhi».
Antonio Vivaldi

Federico Maria Sardelli, musicista e scrittore, prolifico esperto di Vivaldi, ci offre in "Lucietta" un'opera originale e godibilissima: una sorta di "saggio narrativo" che ricostruisce con garbo - e con tutta la precisione storica concessa dalle fonti disponibili - due vite parallele.

Siamo nella Venezia di fine '600. Una neonata viene abbandonata nella "scafetta" dell'Ospedale della Pietà. L'anno successivo vede la luce Antonio Vivaldi, destinato a passare alla storia come geniale compositore e violinista. 

Lucietta trascorrerà nell'istituto - accolta e reclusa al tempo stesso - l'intera sua vita. Unico vero conforto sarà l'amore per la musica: un talento straordinario consentirà a Lucietta di raggiungere vette altissime di virtuosismo musicale fra le "Figlie di Choro", e farà di lei l'organista prediletta del grande Vivaldi. 

Il libro alterna pagine di attenta documentazione archivistica e capitoli di prudente ricostruzione fantastica, generando una storia bella, credibile, profondamente drammatica.



07 marzo 2024

Roselline

Erano cinque - ciascuno corrispondente a una diversa classe delle elementari - gli album da disegno di "Roselline". Ritrovarli su una mensola mi ha sbloccato un fiume di ricordi. Credo che la mia passione per il disegno sia nata su quelle pagine, mezzo secolo fa; e anche se non ho mai imparato a disegnare sul serio, tuttora subisco il fascino di quest'arte figurativa.

Il primo album era interamente quadrettato, così per il bimbo alle prime armi era facile copiare i disegni seguendo la griglia. Dal secondo in poi, le pagine senza quadrettatura diventavano via via più rare, fino a scomparire del tutto nel quinto.
Anche le immagini - frutto del talento dell'autrice Rosella Banzi - erano proposte con complessità crescente, ma sempre con uno stile fresco, lieve, delicato: personaggi e cornicette, edifici, oggetti di uso quotidiano, fiori e animali, paesaggi, piccole storie illustrate...

Permettetemi di offrirvene - non senza una certa emozione - un piccolo assaggio.

















  

 

 














28 febbraio 2024

«Quanti libri! Non posso credere alla mia fortuna!»

Delizioso, e azzeccatissimo, questo fumetto che circola in rete. È ambientato in un tetro maniero, dove:
«Ora che sei mia sposa, non lascerai mai questo castello!» sentenzia lui, spietato.
«WOW! La tua biblioteca è fantastica!» replica lei, estasiata.
«Al di fuori del castello c’è un alto muro senza uscita, e al di là c’è una profonda foresta oscura, senza sentiero», prosegue lui.
«Immagino che la biblioteca sia anche mia, adesso che siamo sposati» dice lei, per nulla impressionata.
«La foresta brulica di lupi famelici, uccelli malvagi e spiriti di viaggiatori morti da tempo», rincara lui. 
«Quanti libri! Non posso credere alla mia fortuna!» esclama lei, prelevando alcuni volumi dalla libreria.
«Quando il sole tramonta, io mi trasformo in una belva feroce e volo nella notte, colto da una terribile sete di sangue!» conclude lui, dispiegando ampie ali da pipistrello.
«Ok. Io rimarrò qui a leggere. Arrivederci al mattino».
😂