Teresa – giovane vedova benestante della Milano "bene" ottocentesca - è un’appassionata ammiratrice di Alessandro Manzoni: legge avidamente “I promessi Sposi” (nella prima versione del 1827), apprezza l’opera, e attraverso il libro si innamora dell’autore, quell’uomo fatto «come il mio cuore desidera».
Il Manzoni ha quasi cinquant’anni quando Enrichetta, la sua prima moglie, muore. E Teresa riesce a realizzare il proprio sogno, sposando in seconde nozze l’uomo di cui subisce perdutamente il fascino. Ma non sarà una vita coniugale facile: l’ombra di Enrichetta aleggerà sempre in quella casa, e la memoria di lei persisterà come termine di paragone inevitabile.
Teresa è una donna intelligente, colta, sensuale, determinata. Cerca di instaurare un rapporto affettuoso e franco con i sette figli di Alessandro; si sforza persino di non entrare in rotta di collisione con la suocera (e non è certo una persona facile, Giulia Beccaria).
Teresa ama tanto - troppo? - Alessandro, e riesce a regalargli una sorta di seconda giovinezza. Lui contraccambia come può, pur con tutte le sue fragilità e i suoi limiti, le sue nevrosi e i suoi aspetti problematici. Teresa persevera in questo amore disequilibrato e profondo, venerando suo marito fino all’ultimo, e impedendo a se stessa si chiedersi quanto quel matrimonio l’abbia davvero resa felice.
«Le due mogli di Manzoni» è un romanzo storico biografico con accenti di straordinaria modernità, ma le licenze narrative sono esigue e marginali. L’autrice Marina Marazza ha avuto a disposizione una mole incredibile di fonti scritte da cui attingere (diari, lettere, messaggi, preghiere, cronache locali, persino il biglietto del salumiere). Ogni episodio narrato nel romanzo trova il suo riscontro nei documenti, e spesso è espresso addirittura con le stesse parole della fonte originaria. Non è stato necessario inventare: c’era già tutto.