25 aprile 2025

Hotel Nord America

Bologna, 1939, anno XVII dell'era fascista. Ventidue giovani donne - appena diplomate in ostetricia all'Alma Mater di Bologna - vengono inviate in Sardegna per esercitare la loro professione in una terra povera, in cui la mortalità infantile - soprattutto perinatale - è altissima (per miseria endemica, condizioni igieniche pessime, levatrici professioniste inesistenti). Nemmeno il tempo di salutare i familiari: il traghetto le attende.
Fra queste giovani c'è anche Ida.
In "Hotel Nord America" Giacomo Mameli racconta di lei, la prima "allevadora" del paese di Perdasdefogu, che in Sardegna si fermerà per sempre. E attraverso le vicende di Ida scorrono sullo sfondo quarant'anni di storia italiana.
Il romanzo avvince, perché l'essenzialità della prosa - quasi cronachistica - rende evidente come di spazio alla fantasia se ne sia lasciato poco. E non è un caso. Perché Ida era la madre dell'autore, e molte pagine del libro traggono spunto dai diari di lei.
E adesso, desidero offrirvi un assaggio, con il brano il cui si racconta il primo parto cui la giovanissima "allevadora" Ida assistette in terra di Sardegna.

- Metta acqua e la faccia bollire, attizzi il fuoco, non ci vedo, può fare un po’ più di luce?
Sigarino mette nel focolare frasche secche di leccio e corbezzolo, le fiamme rischiarano a lampi, riesco a vedere quanto devo vedere ma a sprazzi, diciamo che va tutto bene, sono in ballo, devo ballare, le scintille mi arrivano sulle gambe, sembrano punture di spilli, ma bruciacchiano pure, svolazzano anche nuvolette di fumo, come se fossero foglie più sottili delle foglie di leccio, devo evitare che arrivino da Filomena che spinge, spinge, ohi la schiena, quando nasce? È brava, soffre ma sorride, la capra bela, ciao Muduledda dice Filomena, ohi la mia schiena, io uso l’olio di oliva, Filomena gradisce, Sigarino mi porta il catino, si sente il raglio dell’asino di Crepantonio.
- Stiamo per farcela, Filomena, ancore un po’, spinga ancora un po’, respiri forte, spinga, ponzi.
- Come?
- Spinga, ci siamo.
- È nato il bambino? Unu pippìu?
Dal campanile di San Pietro arrivano undici rintocchi.
- No, è nata, è una bambina.
- Una pippìa.
Piange subito, è reattiva, sta passando dal caldo del grembo materno al freddo di una casa povera, meno male che siamo ad agosto. Prendo i miei ferri, pinzo il cordone ombelicale in due punti e taglio al centro, faccio proprio quello che facevo nella clinica universitaria di Bologna.
- Altra acqua calda Sigarino, è diventato padre di una bella bambina. L’avete deciso il nome?
- Come vuole lei, Signorida.
- No, come volete voi. Siete voi i genitori. Filomena come la vuol chiamare? E lei, Sigarino?
- Decide la mamma se è nata femmina.
- Allora la chiamiamo Maria, le piace? Professore che diceva
- E vuole che non mi piaccia quella che voi chiamate sa mamma de Deus? Auguri Filomena.
Devo legare il cordone ombelicale prima di accorciarlo. È una fase delicata quella subito dopo il parto. Ricordo il professore che diceva: “tagliate a trenta centimetri”. L’acqua calda arriva regolarmente, pulisco. Maria pi9ange, poi si assopisce un po’, figlia mia, figlia mia.
Poi di rintocchi ne arrivano dodici, è mezzanotte. Maria è attaccata alla mamma che l’accarezza.
- La posso baciare? – chiede Sigarino.
- Pulisca le labbra e la baci sulla fronte.
- Filgia mia. Filgia mia.
- Impara a dire filgia nostra, - precisa Filomena.
- Nostra e de Signorida.
Mi blocco un istante. Realizzo che, in una casa capanna, ho assistito al primo parto dopo il diploma. Mi asciugo le lacrime. Filomena non si accorge di nulla, guarda la sua bambina.


20 aprile 2025

10 aprile 2025

Leggere i geroglifici

Presso la biblioteca civica Pablo Neruda di Grugliasco è stato organizzato un corso di... lettura dei geroglifici egizi!

È destinato ai bambini dagli 8 ai 12 anni, ma si tratta di una cosa seria: ideato e condotto da Giulia Gulinelli, giovane laureata in Egittologia, il corso si articola in quattro lezioni di un'ora, una alla settimana. Istruttivo e divertente, aiuta a sviluppare pensiero critico, logica e memoria.

Attraverso il gioco e la creatività, i giovanissimi partecipanti apprendono:
  1. l'alfabeto egizio e il senso dei geroglifici;
  2. il mito della creazione e le divinità principali degli Egizi;
  3. le prime tombe egizie, le piramidi con i loro templi, la Sfinge, la Valle dei Re e delle Regine;
  4. i cinque nomi del faraone.
Dell'iniziativa hanno parlato in queste settimane diversi quotidiani e settimanali, fra cui La Stampa (con un'intervista alla giovane egittologa), Torino OggiLuna Nuova.  Il notevole successo di adesioni darà origine a una replica nel prossimo futuro (aperta - come molti si augurano - anche agli adulti).



02 aprile 2025

I fuoriposto

I “Displaced Persons Camps”, alla fine della seconda guerra mondiale, sono campi profughi creati in tutta Europa per accogliere rifugiati di varia origine, e soprattutto Ebrei sopravvissuti alla shoah. 
Nei DP Camps - gestiti dagli eserciti delle potenze vincitrici - gli Ebrei vengono non soltanto ospitati, ma anche aiutati a trovare un luogo di accoglienza e la possibilità di una nuova vita.

Siamo nel 1946. Uno di questi campi – eretto e gestito dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) - sorge in Salento, e fornisce assistenza agli Ebrei liberati dai campi di sterminio, in viaggio verso il nascente Stato di Israele. La popolazione locale, in miseria nera da tempo immemorabile, e ancor più provata dalla guerra appena conclusa, si ritrova a fare i conti (spesso a denti stretti) con questa realtà che si è insediata nella loro terra.

È questo il contesto storico e sociale che fa da sfondo a “I fuoriposto”, in cui Cosimo Buccarella racconta le vicende di quattro tredicenni alle prese con un mondo del tutto ignoto, foriero di rischi e di opportunità. Tra peripezie e disavventure, slanci di generosità e piccole astuzie, i quattro ragazzi vivono insieme un’esperienza che li aiuterà a diventare grandi.
Un buon libro, un autentico romanzo di formazione.




25 marzo 2025

Pippi: 80 anni, e non sentirli!

Il questo 2025 Pippi Calzelunghe compie... 80 anni!  Proprio così: nel 1945 vedeva la luce il primo romanzo di Astrid Lindgren. La ragazzina dalle trecce rosse era destinata a diventare un'autentica eroina per milioni e milioni di piccole donne. Vivace, indipendente, fortissima, furba, sempre allegra.
Non posso negare che quest'indimenticabile romanzo - unitamente ai telefilm tratti da esso - abbia accompagnato tutta la mia infanzia. E anche di più.
Permettetemi di offrirvene una pagina, con un sorriso.

C'era, alla periferia della minuscola città, un vecchio giardino in rovina; nel giardino c'era una vecchia casa, e nella casa abitava Pippi Calzelunghe. Aveva nove anni e se ne stava lì sola soletta: non aveva né mamma né papà, e in fin dei conti questo non era poi così terribile se si pensa che così nessuno poteva dirle di andare a dormire o propinarle l'olio di fegato di merluzzo quando invece lei avrebbe desiderato delle caramelle.
C'era stato, veramente, un tempo in cui Pippi aveva un papà al quale voleva un mondo di bene, e naturalmente anche una mamma; ma erano passati tanti anni che di lei non riusciva a ricordarsi. La mamma infatti era morta quando Pippi era una bimba piccina piccina, che stava nella culla e strillava in maniera così raccapricciante che nessuno resisteva a rimanerle vicino. Pippi era convinta che la sua mamma se ne stesse ora seduta in cielo e guardasse la sua bambina col cannocchiale attraverso un piccolo foro, così Pippi aveva preso l'abitudine di fare un cenno di saluto verso l'alto dicendo:"Non stare in pensiero per me! Io me la cavo sempre!"
Ma suo padre, Pippi non se l'era scordato. Era capitano di marina e navigava per il vasto mare; Pippi era sempre stata con lui sulla sua nave, finché un giorno, durante un temporale, lui era volato via ed era scomparso. Pippi però era sicurissima che sarebbe ritornato: il pensiero che potesse essere annegato non la sfiorava nemmeno. Era invece convinta che le onde lo avessero sospinto a terra, e precisamente in un'isola popolata di negri. Lì suo padre era diventato il loro re e per tutto il giorno camminava su e giù con una corona d'oro sulla testa.
"Un angelo per mamma e un re di una tribù negra per papà: non capita davvero a tutti i bambini di avere dei genitori tanto distinti!" diceva Pippi soddisfatta. "E appena il mio papà si sarà costruito una barca, mi verrà a prendere, e così diventerò la principessa di una tribù negra. Urrà! Allora sì che ci divertiremo!"
Era stato proprio il padre di Pippi a comperare quella vecchia casa in mezzo al giardino, molti anni addietro. Contava di andarcisi a stabilire con Pippi quando fosse diventato troppo vecchio per continuare a navigare. Ma poi gli era capitata quella stupida cosa di volare in mare e Pippi, in attesa di vederlo ricomparire, puntò decisamente su Villa Villacolle, eleggendola a sua dimora per il futuro.
Quello era infatti il nome della casa che, ammobiliata e perfettamente sistemata, non attendeva che il suo arrivo.
Era una bella sera d'estate quando Pippi disse addio all'equipaggio della nave di suo padre: i marinai le volevano un gran bene, e un gran bene voleva loro Pippi.
"Addio, ragazzi!" disse Pippi, e li baciò ad uno ad uno in fronte.
"Non state in pensiero per me! Io me la cavo sempre!"



21 marzo 2025

Spring

Auguri per una bella primavera
piacevole, luminosa,
e ricca di momenti rilassanti in cui leggere buoni libri!




09 marzo 2025

Grande meraviglia

Era già evidente in "Il treno dei bambini" e in "Oliva Denaro": Viola Ardone possiede il raro talento di saper trattare in modo lieve – spesso con accenti di delicata ironia – temi e storie di estrema drammaticità. 

In "Grande meraviglia" – ambientato negli anni ’80 del Novecento – l’autrice racconta la realtà feroce del manicomio, vista attraverso lo sguardo limpido e irriverente di una ragazzina. Qui Elba è nata, qui è cresciuta; qui incontrerà il dottor Meraviglia, giovane psichiatra che lotterà per "liberarla", e che nel rapporto con lei scoprirà in sé una sorta di maldestra paternità.

Fin dalle prime pagine – che qui vi offro come assaggio – si coglie l’assoluta originalità dello stile...

«Il mezzomondo è la casa dei matti, ci stanno i cristiani che sembrano gatti: non hanno la coda, non sanno miagolare, però sono gatti. Gatti da legare.

Stamattina è arrivata una Nuova e le ho dovuto spiegare tutto daccapo: in principio c’è Colavolpe, poi Lampadina, poi gli infermieri, poi i sorveglianti, poi nulla, nulla, nulla, poi sempre nulla. E infine i matti.

Devi sapere per prima cosa che qui e come il mare: ci sono le Tranquille e ci sono le Agitate. Un mare chiuso ma sempre mare, e in ogni mare si può navigare. Dentro al mezzomondo ci sta pure Elba, che sono io, ma per me questo è il mondo intero, perché il resto che c’è non so neppure cos'è. Aha.

La Nuova non parla, non dice il suo nome. All’inizio è così: fanno spesso il silenzio, poi alcune partono e non si fermano più, dicono insalate di parole, una lingua segreta che nessuno capisce. Ed è inutile starle ad ascoltare quando cominciano a burbureggiare.

Nessuna risposta. Conto fino a cinque virgola sei e poi ricomincio.

Vuoi sapere perché mi chiamo Elba? Chiedo alla Nuova. Lei strizza l'occhio sinistro: lo prendo per un sì. E il nome di un grande fiume del Nord che passa per la Germania, me lo ha dato la mia Mutti, che in tedesco significa mamma. Lo sai tu dov'è la Germania sulla carta geografica? Ce ne sono due: una gialla e una arancione, così ho imparato alla scuola delle Suore Culone, dove mi hanno mandata quando avevo nove anni, per farmi studiare. La mia Mutti veniva da quella arancione, che però adesso è tutta chiusa dentro al comunismo. Ci hanno fatto un muro intorno proprio come qui al mezzomondo, nessuno può entrare o può uscire, solo i fiumi scorrono liberi, perché non li si può fermare. Il fiume che porta il mio nome attraversa la Germania arancione e si getta nel Mare del Nord. Tutti i fiumi arrivano al mare, diceva la Mutti.

La Nuova si attorciglia nella coperta come una gatta scontrosa. Io mi frego con la nocca dell'indice la piccola gobba che ho sul naso tre virgola quattro volte e riprendo a spiegare.

La Mutti è scappata tanti anni fa dalla Germania arancione, però è finita ugualmente dietro un muro. L'hanno internata qui, ma non era da sola: aveva già me nella pancia, e tante cose dentro la testa. La matematica, le lingue straniere, i nomi di tutte le specie animali e vegetali, e la pazzia.

Sono stata cinque anni dalle Suore Culone, quando finalmente sono tornata la Mutti era sparita. Colavolpe ha detto che è morta, ma io non gli credo, perché ogni tanto sento la sua voce. La Nuova sospira e una puzza di fame si spande per la stanza. Che credi? Mica sono come le stralunate del terzo piano, che le voci le immaginano soltanto! Altrimenti Colavolpe mi avrebbe spostato con loro, perché lui e il capintesta del mezzomondo e comanda sui pazzi e sui sani, sia bestie che umani.

La Nuova alza le spalle e si mummifica nella coperta, forse ha un po' freddo come noi tutte. Solo che alcune hanno freddo sopra la pelle, altre sotto, come me...».



06 febbraio 2025

Il secondo piano

Anno domini 1944. Roma, sul finire della guerra, è stretta in una morsa implacabile. Gli Alleati, sbarcati in Italia da mesi, tardano a raggiungere la Capitale; intanto i Tedeschi, prossimi alla sconfitta, diventano più feroci che mai. Ogni tentativo di ribellione è soffocato nel sangue (siamo nei giorni cupi delle Fosse Ardeatine, per intenderci). Il ghetto ebraico viene rastrellato, ovunque serpeggia il terrore.

Eppure, lontano dai teatri di guerra, lontano dalle stanze del potere, gesti di eroismo nascosto scrivono luminose pagine di storia. Come quelle di tanti conventi e luoghi sacri che si aprono clandestinamente all'accoglienza dei più disperati.

Ritanna Armeni si cimenta nel racconto intenso di una di queste pagine di storia: un gruppo di suore francescane accoglie alcuni ebrei sfuggiti al rastrellamento del ghetto, e li nasconde al secondo piano del convento. Poco tempo dopo, un comando tedesco requisisce il pianterreno per installarvi un'infermeria militare. Iniziano così lunghi mesi di rischio costante, in cui l'attenzione deve mantenersi ai massimi livelli giorno e notte.

Dato il contesto, "Il secondo piano" potrebbe essere un romanzo cupo, angosciante, opprimente. Invece fin dalle prime pagine si rivela una storia delicata, bella. In cui eroismo e semplicità, ribellione e quotidianità si miscelano con equilibrio lieve. E la lettura scorre.

«Il campanello ruppe il silenzio e attraversò l’androne; deciso e prolungato, il suono superò la vetrata che dava sul giardino e arrivò suor Lina.
La novizia, che stava raccogliendo le lenzuola stese ad asciugare sui fili tesi tra gli alberi, lo sentì bene ma decise di non precipitarsi al portone. Ci sarebbe andata qualche altra sorella, lei aveva cose più urgenti da fare. Doveva salvare la biancheria
»...



16 gennaio 2025

Una scorta abbondante di libri

Siamo accumulatori seriali di libri? Ce ne procuriamo più di quanti riusciamo a leggere?
Allora diamo un'occhiata a quanto diceva Umberto Eco:

"È sciocco pensare che si debbano leggere tutti i libri che si comprano, come è sciocco criticare chi compra più libri di quanti ne potrà mai leggere. Sarebbe come dire che bisogna usare tutte le posate o i bicchieri o i cacciavite o le punte del trapano che si sono comprate, prima di comprarne di nuove. Nella vita ci sono cose di cui occorre avere sempre una scorta abbondante, anche se ne useremo solo una minima parte. Se, per esempio, consideriamo i libri come medicine, si capisce che in casa è bene averne molti invece che pochi: quando ci si vuole sentire meglio, allora si va verso “l’armadietto delle medicine” e si sceglie un libro. Non uno a caso, ma il libro giusto per quel momento. Ecco perché occorre averne sempre una nutrita scelta! Chi compra un solo libro, legge solo quello e poi se ne sbarazza, semplicemente applica ai libri la mentalità consumista, ovvero li considera un prodotto di consumo, una merce. Chi ama i libri sa che il libro è tutto fuorché una merce".

Se amiamo i libri non temiamo di farne scorta. Potranno essere utili quando giungerà l'inverno.


11 gennaio 2025

Mio fratello rincorre i dinosauri

Dopo aver visto il bel film Mio fratello rincorre i dinosauri, ho desiderato leggere il libro da cui era stata tratta la sceneggiatura. Ottima scelta: senza nulla togliere alla versione cinematografica, la storia originale - scritta in prima persona da Giacomo Mazzariol - riesce a rendere indimenticabile la vicenda umana di questo ragazzo che deve fare i conti con un fratellino dotato "di un cromosoma in più". Privo di alcune "aggiunte" (a mio parere discutibili e tutto sommato superflue) che il film ha voluto apportare, il libro è semplicemente stupendo. Un autentico romanzo di formazione, che però non è un romanzo. È una storia vera. Carne e poesia.

Permettetemi di offrirvene uno stralcio, che saprà farvi sorridere e commuovere...

Iniziai a pedinarlo. Ero stramaledettamente affascinato dal mio fratello speciale e tentavo di capire in cosa consistesse davvero la faccenda. Appena mia madre lo abbandonava un secondo sul passeggino o in qualche altro aggeggio predisposto per contenerlo, appena lei si voltava per fare qualcosa, riordinare un cassetto o chessò io, calavo su di lui come un satellite spia di Guerre Stellari.
– Posso farti una domanda? – chiesi a mamma un pomeriggio che fuori stava nevicando. Lei era nel bagno blu – il bagno dei grandi, il bagno proibito ai figli, quello dove papà si sbarbava e lei si metteva le creme – io ero sdraiato sul letto, la mano a sostenere la guancia, a osservare Gio come al solito.
– Certo.
– Ma perché lo avete fatto cosí?
– Cosí come?
– Cinese.
– È che ce l’hanno offerto sudamericano o orientale, e oggi, sai, vanno di moda le lanterne rosse, i motivi floreali, il sushi –. Mamma si affacciò dal bagno. – Lo preferivi messicano?
Mi lasciai crollare sul cuscino, sbuffando.
– E poi, scusa, – continuò lei, – non hai condotto quella ricerca sul perché Gio era speciale? Ti ricordi? Le domande che hai rivolto a me e a papà… cos’avevo mangiato il giorno prima, se ero andata a passeggiare con la mamma di Antonio… Allora?
– Allora cosa?
– Non hai scoperto nulla?
– Poco, – dissi.
Mamma uscì dal bagno e aprì la cassapanca per prendere gli asciugamani. – Giacomo… – disse, con quella voce dolce e profonda al tempo stesso che mette su quando c’è della verità vera in quello che sta per dire, – nella vita ci sono cose che si possono governare, altre che bisogna prendere come vengono. È talmente più grande di noi, la vita. È complessa, ed è misteriosa… – Mentre lo diceva aveva gli occhi che luccicavano: lei ha sempre questi occhi pieni di stelle quando parla della vita, anche oggi. – L’unica cosa che si può sempre scegliere è amare, – disse. – Amare senza condizioni.