«Perché cosa, cosa ne è, di noi, senza la speranza?»
Immaginavo un romanzo tutto sommato "light", da leggere nel tempo libero di un’estate assolata. Invece "Tutta la vita che resta" è un gran pugno nello stomaco. Nello stesso tempo cattura l’attenzione, e coinvolge il cuore.
La storia ruota attorno a Marisa, una donna che negli anni Cinquanta sfida le convenzioni sociali rimanendo incinta fuori dal matrimonio. Dopo l’abbandono da parte del padre del bambino, trova un amore sincero e solido in Stelvio, garzone nella bottega del padre, che diventa suo marito e compagno di vita. Insieme costruiscono una famiglia, crescendo due figli: Ettore, appassionato di musica, e Betta, una ragazza vivace e solare.
Tuttavia, nell’estate del 1980, durante una vacanza sul litorale laziale, la serenità familiare viene spezzata da un evento drammatico: Betta viene violentata e uccisa. Con lei c’è Miriam, la cugina, che sopravvive ma resta segnata da un dolore silenzioso e paralizzante.
Il romanzo si concentra sulle conseguenze psicologiche di questa perdita: il lutto, la colpa, il silenzio, e la difficoltà di continuare a vivere quando tutto sembra perduto.
Roberta Recchia riesce a raccontare questa storia con uno stile semplice e toccante, dando vita a un romanzo intenso e delicato che esplora le ferite profonde lasciate da una tragedia familiare, intrecciando passato e presente con grande sensibilità psicologica.