16 gennaio 2025

Una scorta abbondante di libri

Siamo accumulatori seriali di libri? Ce ne procuriamo più di quanti riusciamo a leggere?
Allora diamo un'occhiata a quanto diceva Umberto Eco:

"È sciocco pensare che si debbano leggere tutti i libri che si comprano, come è sciocco criticare chi compra più libri di quanti ne potrà mai leggere. Sarebbe come dire che bisogna usare tutte le posate o i bicchieri o i cacciavite o le punte del trapano che si sono comprate, prima di comprarne di nuove. Nella vita ci sono cose di cui occorre avere sempre una scorta abbondante, anche se ne useremo solo una minima parte. Se, per esempio, consideriamo i libri come medicine, si capisce che in casa è bene averne molti invece che pochi: quando ci si vuole sentire meglio, allora si va verso “l’armadietto delle medicine” e si sceglie un libro. Non uno a caso, ma il libro giusto per quel momento. Ecco perché occorre averne sempre una nutrita scelta! Chi compra un solo libro, legge solo quello e poi se ne sbarazza, semplicemente applica ai libri la mentalità consumista, ovvero li considera un prodotto di consumo, una merce. Chi ama i libri sa che il libro è tutto fuorché una merce".

Se amiamo i libri non temiamo di farne scorta. Potranno essere utili quando giungerà l'inverno.


11 gennaio 2025

Mio fratello rincorre i dinosauri

Dopo aver visto il bel film Mio fratello rincorre i dinosauri, ho desiderato leggere il libro da cui era stata tratta la sceneggiatura. Ottima scelta: senza nulla togliere alla versione cinematografica, la storia originale - scritta in prima persona da Giacomo Mazzariol - riesce a rendere indimenticabile la vicenda umana di questo ragazzo che deve fare i conti con un fratellino dotato "di un cromosoma in più". Privo di alcune "aggiunte" (a mio parere discutibili e tutto sommato superflue) che il film ha voluto apportare, il libro è semplicemente stupendo. Un autentico romanzo di formazione, che però non è un romanzo. È una storia vera. Carne e poesia.

Permettetemi di offrirvene uno stralcio, che saprà farvi sorridere e commuovere...

Iniziai a pedinarlo. Ero stramaledettamente affascinato dal mio fratello speciale e tentavo di capire in cosa consistesse davvero la faccenda. Appena mia madre lo abbandonava un secondo sul passeggino o in qualche altro aggeggio predisposto per contenerlo, appena lei si voltava per fare qualcosa, riordinare un cassetto o chessò io, calavo su di lui come un satellite spia di Guerre Stellari.
– Posso farti una domanda? – chiesi a mamma un pomeriggio che fuori stava nevicando. Lei era nel bagno blu – il bagno dei grandi, il bagno proibito ai figli, quello dove papà si sbarbava e lei si metteva le creme – io ero sdraiato sul letto, la mano a sostenere la guancia, a osservare Gio come al solito.
– Certo.
– Ma perché lo avete fatto cosí?
– Cosí come?
– Cinese.
– È che ce l’hanno offerto sudamericano o orientale, e oggi, sai, vanno di moda le lanterne rosse, i motivi floreali, il sushi –. Mamma si affacciò dal bagno. – Lo preferivi messicano?
Mi lasciai crollare sul cuscino, sbuffando.
– E poi, scusa, – continuò lei, – non hai condotto quella ricerca sul perché Gio era speciale? Ti ricordi? Le domande che hai rivolto a me e a papà… cos’avevo mangiato il giorno prima, se ero andata a passeggiare con la mamma di Antonio… Allora?
– Allora cosa?
– Non hai scoperto nulla?
– Poco, – dissi.
Mamma uscì dal bagno e aprì la cassapanca per prendere gli asciugamani. – Giacomo… – disse, con quella voce dolce e profonda al tempo stesso che mette su quando c’è della verità vera in quello che sta per dire, – nella vita ci sono cose che si possono governare, altre che bisogna prendere come vengono. È talmente più grande di noi, la vita. È complessa, ed è misteriosa… – Mentre lo diceva aveva gli occhi che luccicavano: lei ha sempre questi occhi pieni di stelle quando parla della vita, anche oggi. – L’unica cosa che si può sempre scegliere è amare, – disse. – Amare senza condizioni.



13 dicembre 2024

Favola di Santa Lucia

Oggi in alcune città italiane i bambini ricevono i doni da Santa Lucia.
Caso vuole che proprio ieri, sfogliando "Mondo Piccolo" di Giovannino Guareschi, mi sia imbattuta nella storia di Cesarino, un bimbo che in Santa Lucia credeva con tutto se stesso. 
L'innocente freschezza di Cesarino riuscirà a trasformare il cuore di suo padre, inaridito dalla fatica e dal dolore.
"Favola di Santa Lucia" inizia così...


Cesarino si alzò e, prima ancora di lavarsi, prese il lapis blu e cancellò sul calendario un altro giorno. Ne rimanevano ancora tre che poi erano due in quanto il terzo era quello famoso. Mentre si lavava con l’acqua gelata, Cesarino d’improvviso ebbe un pensiero: “E la crusca?” Era una cosa importante. ma risultava anche logico che non ci avesse pensato perché fino all'anno prima, tutto si era svolto laggiù, al paese dove per trovare della crusca, bastava allungare una mano. Gli venne in mente il pane fatto in casa, e il profumo che usciva dal forno. Risentì il cigolio della gramola e pensò a sua madre. Uscì in fretta e passando dalla portineria, si fermò per consegnare la chiave alla portinaia: suo padre era andato via alle quattro perché, in quei giorni, c’era un sacco di lavoro per chi aveva un camion. 
La strada era piena di gente che aveva una premura maledetta e la nebbia di quella fradicia mattina di dicembre era traditrice perché macchine e ciclisti saltavano fuori d’improvviso da ogni parte e bisognava stare attenti. Non poté pensare molto alla faccenda della crusca, ma quando fu a scuola, riprese a pensarci. Aveva dimenticato l’asino e adesso erano guai. Bisognava mettere sul davanzale, vicino alla scarpa, anche il sacchetto pieno di crusca per l’asino che portava le ceste dei regali. A non mettere la crusca, Santa Lucia si sarebbe offesa certamente. 
Cesarino, quando alle dodici e mezzo lo lasciarono libero, corse subito alla panetteria e domandò un po’ di crusca. Ma di crusca non ne avevano. Ed era anche logico perché, in una città come Milano, a cosa potrebbe servire la crusca? Provò da un altro panettiere, poi da un terzo e, alla fine, perdette la speranza. 
Arrivato a casa, trovò la chiave ancora in portineria: suo padre non era ancora arrivato e Cesarino mangiò da solo nella cucina fredda e in disordine. Il padre tornò la sera, ma non salì neppure in casa: lo chiamò dal cortile e assieme andarono alla trattoria dell’angolo. 
La minestra calda diede a Cesarino tanta gioia da fargli dimenticare tutte le sue preoccupazioni ma, quando ebbe finito di mangiare, le preoccupazioni ritornarono a galla. Cesarino aveva una soggezione tremenda di suo padre che era un uomo cupo e di poche parole, quindi fece una fatica matta a entrare in argomento. Alla fine gli disse: — Ci vorrebbe un po’ di crusca. — 
Il padre di Cesarino stava parlando con un uomo in tuta che era venuto a bere un bicchiere in compagnia: si volse sbalordito e domandò: 
— Crusca? E cosa te ne fai della crusca? 
— Ci vuole per l’asino, — balbettò il ragazzo. 
L’uomo in tuta si mise a sghignazzare e domandò di che asino si trattasse. 
— L’asino di Santa Lucia, — spiegò Cesarino timidamente. 
L’uomo in tuta sghignazzò ancora più forte, ma il padre di Cesarino gli strinse d’occhio poi, rivoltosi al ragazzino, gli disse brusco: 
— Lascia perdere l’asino. Qui Santa Lucia non usa. 
Il ragazzo lo guardò perplesso: 
— Santa Lucia sul calendario c’è! 
— C’è, ma non usa! — esclamò secco il padre. — Sul calendario c’è anche Sant’llario allora: ma, qui, invece, usa Sant’Ambrogio. Ogni città ha i suoi santi. Qui è il Bambino che porta i regali. Qui usa il Bambino. 
Il ragazzo guardò l’uomo in tuta, e quello gli confermò il fatto. 
— Perbacco, è proprio così! I santi sono delle autorità provinciali e ognuno ha la sua provincia. Qui la faccenda è di competenza del Bambino. 
Cesarino abbassò la testa, poi preoccupatissimo obiettò: 
— Ma il Bambino non mi conosce: è soltanto sei mesi che sono a Milano. 
L’uomo in tuta lo rassicurò: 
— Stai sicuro che il parroco del tuo rione lo ha già informato che siete qui tu e tuo padre! Ad ogni modo, per essere più sicuro, scrivi a De Gasperi così lui glielo dice. 
Altri due o tre che si erano avvicinati si misero a ridere e allora il padre intervenne e disse a Cesarino: 
— Adesso va a casa e mettiti a letto. Lascia la chiave sulla porta. 
Il ragazzino uscì e il padre spiegò la storia a quello della tuta ed agli altri: 
— Sono stupidaggini, ma non posso dirglielo così, in quattro e quattr’otto! È sua madre che gli ha messo in testa queste cretinate e, anche il giorno prima di morire, mi ha raccomandato: “Carlo, lascialo stare, il ragazzo. Lascialo così com’è. Quando sarà ora, capirà da solo. Non mi far dispetto quando sarò morta.” 
L’uomo allargò le braccia: 
— Ragazzi, se si tratta di far dispetto a un vivo, ci sto anche se c’è da scannarsi: ma non mi va di far dispetto a un morto. È soltanto sei mesi che è morta! 
Quello dalla tuta scosse il capo: 
— Sentimentalismi idioti, roba da medioevo! Intanto tu, per non far dispetto a un morto, fai dispetto a tuo figlio vivo perché gli lasci la testa piena di stupidaggini. 
— Non ti preoccupare, — ribatté il padre di Cesarino. — Quando vedrà che né santi né Madonna gli portano più niente, si convincerà da solo. 
[...]

25 novembre 2024

Libri sotto l'albero

Permettetemi un "angolino pubblicitario", visto che manca un mese al Natale. Avete pensato a regalare un libro? Ecco dunque qualche suggerimento:
I romanzi possono essere acquistati:
🎄 Nelle librerie (se non sono presenti negli scaffali, possono essere prenotati).
🎄 Negli store online (in alcuni casi è previsto uno sconto sul prezzo di copertina).
🎄 Rivolgendosi ai rispettivi editori e distributori.
🎄 Contattando direttamente l’autrice.

Buona lettura, a voi e alle persone cui volete bene!



09 novembre 2024

I buoni libri

Con l'approssimarsi di festività o vacanze, abbondano per ogni dove i "consigli per gli acquisti" in libreria. 
Quali testi regalare per Natale? Quali romanzi portarsi in vacanza? 
Negli scaffali dei negozi e delle biblioteche abbondano best seller e proposte di vario genere; ma talvolta si tratta di "robaccia", e pare che in certi luoghi "letteratura" faccia rima con "spazzatura". 
Invece, quanto bene fa la lettura di un «buon libro». Don Bosco, che se ne intendeva, spese parole decisamente forti (ma anche molto poetiche) su questo tema: 

Carissimi figlioli, 
Quello che io intendo caldamente raccomandarvi, per la gloria di Dio e la salute delle anime, è la diffusione dei buoni libri. Io non esito a chiamare Divino questo mezzo... 
Il libro se da un lato non ha quella forza intrinseca della quale è fornita la parola viva, da altro lato presenta vantaggi in certe circostanze anche maggiori. 
Il buon libro entra persino nelle case ove non può entrare il sacerdote, è tollerato anche dai cattivi come memoria e come regalo. Presentandosi non arrossisce, trascurato non s'inquieta, letto insegna verità con calma, disprezzato non si lagna e lascia il rimorso che talora accende il desiderio di conoscere la verità: mentre esso è sempre pronto ad insegnarla. 
Talora rimane polveroso sopra un tavolino o in una biblioteca. Nessuno pensa a lui. 
Ma viene l'ora della solitudine, o della mestizia, o del dolore, o della noia, o della necessità di svago o dell'ansia dell'avvenire, e questo amico fedele depone la sua polvere, apre i suoi fogli... 


[Tratto da: San Giovanni Bosco - «Circolare ai Salesiani per la diffusione dei buoni libri» - 19 marzo 1885] 



19 ottobre 2024

La signora delle Fiandre

È possibile scrivere un romanzo storico-biografico con una protagonista femminile, senza cedere alla tentazione del “rosa” a tutti i costi? Senza inventare per forza intrighi di corte, tradimenti, segreti? Senza arricchire la trama con amori e amorazzi di ogni genere e specie? E, nonostante il rigore, dare alla luce un’opera avvincente, piacevole da leggere, godibilissima?

In “La signora delle Fiandre”, Giulia Alberico ci è riuscita.

Siamo verso la fine del ‘500. Margherita d'Austria - figlia amata (ancorché illegittima) dell'imperatore Carlo V, duchessa di Parma e Piacenza, governatrice delle Fiandre - giunta al tramonto della sua intensa vita ne fa il bilancio con lucidità e coraggio. Ricorda gli anni della fanciullezza e quelli della maturità; gli eventi storici di cui è stata spettatrice o addirittura protagonista; le persone cui ha voluto bene e quelle che avrebbe voluto amare di più.
Sullo sfondo, sempre presente e struggente, la domanda sul senso della propria vita.
Permettete di offrirvene un assaggio…

Purtroppo devo confessare che non sono per niente pacificata, così come ho lasciato intendere agli altri e a me stessa, con l'idea di morire. Nonostante l'infermità e gli anni, vorrei vivere ancora. Questo mondo, tutto, anche questo angolo di mondo di Ortona a Mare, mi interessa, mi chiama, mi fa sentire viva.
Questa vita mezza piena e mezza vuota, così fragile, così faticosa e splendida, vorrei trattenerla ancora a lungo.
Il mondo l'ho girato, conosciuto, spesso sono stata superficiale, distratta, non l'ho apprezzato al momento ma ha sempre finito per sorprendermi con qualcosa di stupefacente. Fossero i tulipani rossi sbocciati dopo la morte di De Marchi, fosse la storia di Dorotea, fossero le ultime rose nel vaso di Delft. Non so come spiegarlo ma c’è nel mondo una quantità di bellezza, di vita, che mi ha sempre tirato fuori dal sopore, dal letargo delle emozioni. Non finirà mai di stupirmi questa vita terrena. La musica, per esempio, qualcosa che non sono certa potrò ascoltare in cielo o dove Dio mi comanderà di stare.
E pensare di non udire più la musica della vihuela mi è intollerabile.
Ho paura, ho paura di morire. Ho sempre finto un sovrano distacco da questo congedo che e di tutti. Quando ero molto giovane era una tappa lontana, un pensiero inconsistente. Da donna matura e stato un pensiero più assiduo ma la preghiera, l'esercizio religioso mi parevano angeli custodi, un accompagnamento all'idea del distacco.
Oggi, vicinissima all'appuntamento, confesso che ho paura.
Spero di non rendermi conto. Sarebbe orribile.



24 settembre 2024

Le due mogli di Manzoni

Teresa – giovane vedova benestante della Milano "bene" ottocentesca - è un’appassionata ammiratrice di Alessandro Manzoni: legge avidamente “I promessi Sposi” (nella prima versione del 1827), apprezza l’opera, e attraverso il libro si innamora dell’autore, quell’uomo fatto «come il mio cuore desidera».

Il Manzoni ha quasi cinquant’anni quando Enrichetta, la sua prima moglie, muore. E Teresa riesce a realizzare il proprio sogno, sposando in seconde nozze l’uomo di cui subisce perdutamente il fascino. Ma non sarà una vita coniugale facile: l’ombra di Enrichetta aleggerà sempre in quella casa, e la memoria di lei persisterà come termine di paragone inevitabile. 

Teresa è una donna intelligente, colta, sensuale, determinata. Cerca di instaurare un rapporto affettuoso e franco con i sette figli di Alessandro; si sforza persino di non entrare in rotta di collisione con la suocera (e non è certo una persona facile, Giulia Beccaria). 

Teresa ama tanto - troppo? - Alessandro, e riesce a regalargli una sorta di seconda giovinezza. Lui contraccambia come può, pur con tutte le sue fragilità e i suoi limiti, le sue nevrosi e i suoi aspetti problematici. Teresa persevera in questo amore disequilibrato e profondo, venerando suo marito fino all’ultimo, e impedendo a se stessa si chiedersi quanto quel matrimonio l’abbia davvero resa felice.

«Le due mogli di Manzoni» è un romanzo storico biografico con accenti di straordinaria modernità, ma le licenze narrative sono esigue e marginali. L’autrice Marina Marazza ha avuto a disposizione una mole incredibile di fonti scritte da cui attingere (diari, lettere, messaggi, preghiere, cronache locali, persino il biglietto del salumiere). Ogni episodio narrato nel romanzo trova il suo riscontro nei documenti, e spesso è espresso addirittura con le stesse parole della fonte originaria. Non è stato necessario inventare: c’era già tutto.

Intorno alla famiglia Manzoni ruotano artisti, letterati, patrioti. Le vicende del Risorgimento attraversano ogni anno della loro vita. E la ricostruzione storica è di un rigore impeccabile.



12 settembre 2024

10 anni di libri

Sono trascorsi esattamente dieci anni dalla pubblicazione del primo romanzo. Dieci anni, e cinque libri.

Per festeggiare la ricorrenza, un lettore ha interrogato in merito l'intelligenza artificiale...

«Laura Blandino è un’autrice italiana nota per i suoi romanzi di formazione. Negli ultimi dieci anni ha scritto cinque opere che esplorano temi legati alla crescita personale e alla scoperta di se stessi.

Laura Blandino ha creato opere che affrontano le sfide dell’adolescenza e dell’età adulta, offrendo ai lettori spunti di riflessione e ispirazione.

Lo stile di scrittura di Blandino è coinvolgente e accessibile, con una particolare attenzione ai dettagli emotivi e psicologici dei personaggi. I suoi romanzi sono spesso caratterizzati da una narrazione fluida e da un linguaggio semplice ma evocativo, che riesce a catturare le sfumature delle esperienze adolescenziali.

Il messaggio centrale dei suoi romanzi di formazione è l’importanza della crescita personale attraverso le relazioni e le esperienze di vita. Blandino esplora come gli incontri e gli eventi imprevisti possano influenzare profondamente il percorso di maturazione dei giovani, portandoli a una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che li circonda».

[Copilot]



31 agosto 2024

Gli occhi di Monna Lisa

Lisa è una ragazzina sveglia e sensibile, che un giorno - all’improvviso – perde la vista per alcune ore. Gli accertamenti medici non evidenziano anomalie agli occhi, ma rimane il timore che il disturbo possa ripresentarsi. L’oculista suggerisce una terapia con uno psichiatra infantile, ma il nonno Henry non è dello stesso parere: se davvero Lisa rischia di perdere la vista per sempre, la cosa più importante è farle vedere più bellezza possibile, prima che scenda il buio.

Nasce così tra il nonno e la nipote una consuetudine segreta: ogni settimana Henry - fingendo con i genitori di accompagnare Lisa dallo psichiatra – in realtà la porta a visitare alcune tra le più belle opere d’arte ospitate dai musei parigini (il Louvre, il Museo d’Orsay, il Beaubourg). Un’opera a settimana, per cinquantadue settimane: un anno di bellezza, di contemplazione, di dialogo. Intanto il rapporto tra il nonno e la nipote cresce, e Lisa si affaccia sull’adolescenza.

L’autore Thomas Schlesser è storico dell’arte, prima ancora che scrittore, e sa il fatto suo. L’inserto fotografico all’interno del volume aiuta a seguire le descrizioni tenendo sotto gli occhi le immagini delle cinquantadue opere d’arte.

Se non si concludesse con un esplicito spot pro-eutanasia (piuttosto smaccato, e sostanzialmente inutile ai fini dell’intreccio narrativo), «Gli occhi di Monna Lisa» sarebbe il romanzo perfetto, per chi ama la letteratura e l’arte in pari misura. 
Lo stile è scorrevole, e a tratti quasi poetico; vi regalo una pagina intensa di delicatezza, e di colore.

Esposti all’aria cocente di luglio, i platani di Parigi erano ingialliti. Mentre camminava accanto al nonno, Lisa li notò.
«Dove va a finire il verde, quando scompare?» chiese. 
Henry si fermò di colpo. La domanda non aveva alcun senso dal punto di vista scientifico, naturalmente, ma era un enigma con una profonda risonanza metafisica. Scrutò l'orizzonte in silenzio per poi parlare con calma, a voce bassa.
«Hai ragione, Lisa...Dove vanno a finire il bianco della neve che si scioglie, il rosso del vulcano che si spegne, il porpora dell'amaranto che sfiorisce, il marrone dei capelli che ingrigiscono, l'azzurro del cielo quando il giorno finisce? Forse esiste un paradiso dei colori? Sono sicuro che lì i colori cantano, tuonano ed esplodono, si mescolano e si confondono, e volano via per tornare indietro. All'infinito».
La bambina osservò un castagno imponente come un gigante. 
«Sai, Dadé, presto, con l'arrivo dell'autunno, il giallo delle foglie diventerà arancione; quindi, se lo guardo a lungo, forse questo giallo mi colerà nella mente. Chissà, magari il paradiso dei colori e dentro di me!» esclamò.



08 agosto 2024

L'elisir dei sogni: la saga dei Campari

«Quel liquido rosso sanguigno era per il bambino la prova più tangibile dell’esistenza di suo padre e in esso immaginava racchiusa l’essenza stessa dell’uomo: una bevanda che ne portava il nome e che – ne era convinto – doveva essere spremuta direttamente dal suo enorme corpo, là sotto in cantina

Il giovanissimo Davide Campari ha un grande sogno: seguire le orme del padre Giacomo, morto prematuramente, e proseguire l’attività di famiglia creando nuovi elisir. Supportato dalla madre Letizia, coraggiosa e dolce a un tempo, Davide riuscirà a trasformare la liquoreria di famiglia in un’azienda che varcherà i confini del secolo.

Amo le saghe familiari che ripercorrono le vicende imprenditoriali e umane di chi ha saputo incidere sulla realtà (economica, sociale, spesso anche culturale) del proprio tempo. Penso a «I Leoni di Sicilia» (saga dei Florio, acclamato best seller), oppure a «La salita dei giganti» (saga dei Menabrea, che ho apprezzato oltre ogni dire). 

«L'elisir dei sogni» si colloca sulla stessa scia; Silvia Cinelli racconta – dosando bene precisione storica e creatività narrativa – la saga dei Campari, creatori del Bitter rosso e frizzante che ancor oggi volentieri sorseggiamo. 
Intorno ai personaggi principali ruota il mondo della Milano di fine Ottocento, con i suoi fermenti e le sue contraddizioni. 

«Sono strani questi tempi moderni, sono folli, scriteriati, sono tempi di lotte e di tentazioni rivoluzionarie.»



20 luglio 2024

La regina senza trono: Amalasunta, figlia indomita di Teodorico il Grande

 «La regina senza trono: Amalasunta, figlia indomita di Teodorico il Grande» ha accompagnato piacevolmente un tratto della mia estate. 
Ornella Albanese ha saputo rendere con talento i fatti, la cultura, le atmosfere di un’epoca lontana e affascinante. Nello stesso tempo, ha sviluppato con delicatezza la tematica del rapporto di Amalasunta con suo padre Teodorico, il sovrano ostrogoto passato alla storia come “il grande”.

Certi accenti di femminismo ante litteram potrebbero sembrare anacronistici; così come certe pagine d’amore potrebbero non incontrare i gusti di chi – come me – ama poco il genere “romance”. Però l’opera è, nel complesso, un romanzo storico gradevolissimo, che ha il pregio di far rivivere una Ravenna splendida, nel massimo del suo fulgore artistico. E riaccende il desiderio di tornare a visitarli, quei mosaici indimenticabili.

Ecco la pagina in cui la piccola Amalasunta – accompagnata da suo padre - contempla con occhi pieni di stupore il Mausoleo di Galla Placidia…

Ravenna, 503 d.C.
Dovette piegare la testa all’indietro per vedere la sommità dell’edificio. Era ancora piccola e tutto le sembrava incombente. 
«Le pietre sono importanti, Amalaswintha.»
Era alto, accanto a lei, e robusto. Sul terreno, l’ombra di suo padre il re si disegnava enorme, rispetto alla sua. Non capitava spesso di stargli così vicino e l’emozione le si impigliò in gola. Spostò lo sguardo sul suo viso, notando le piccole rughe intorno agli occhi, la cicatrice in rilievo sullo zigomo, i capelli color del grano a sfiorargli le spalle. La sua voce aveva un timbro profondo che le dava sicurezza, e una solennità molto regale.
«Guarda come si incastrano alla perfezione e in modo ardito.»
Con gesti tranquilli indicava la chiesa che avevano di fronte, severa e maestosa contro il blu del cielo incendiato del tramonto. «Niente è impossibile alle pietre. Possono costruire strutture temerarie trovando impensabili punti di equilibrio. Saranno loro a parlare di noi a quelli che ci seguiranno.»
Amalaswintha si sforzò di osservarle con gli stessi occhi di suo padre, perché Rugio ripeteva spesso che lo sguardo del re andava più lontano di quello di chiunque altro. […]
Entrarono nel nartece e camminarono vicini per un breve tratto del porticato, poi superarono i tre archi maestosi passando accanto a colonne poggiate su basi di marmo rosso. Suo padre prese dal muro una torcia accesa ed entrarono nel piccolo edificio. Il marrone esterno del cotto non lasciava immaginare l’incanto che avrebbero trovato dentro. Il cielo li sovrastava, e le piccole tessere del mosaico rifulgevano alla luce oscillante della fiamma. Un blu luminoso tempestato di stelle d’oro.
«Come può un cielo di pietra essere più lucente di quello vero?» chiese lei, estatica.


19 giugno 2024

L'età fragile

Donatella Di Pietrantonio, già apprezzata in L'arminuta, ci regala in L'età fragile una nuova storia drammatica e semplice allo stesso tempo. Di quelle che si leggono con scioltezza, ma poi rimangono nel tempo.
Vi regalo un assaggio della prima pagina...

Il disordine che trovo al mattino mi ricorda che non sono piú sola. Amanda è tornata, mi guardo intorno e inciampo nelle sue tracce: sul bracciolo del divano il piatto con un pane smozzicato, e nel bicchiere un residuo di bevanda. La coperta è ammucchiata in un angolo, accanto al libro rovesciato sempre sulle stesse pagine.
Negli ultimi tempi il sonno ha perso in leggerezza, non la sento muoversi in casa. Solo a volte quando mi giro su un fianco i suoi passi tardivi vibrano fino al pavimento della mia camera.
Non so a che ora si sveglierà. Bevo il caffè, metto in tavola i biscotti e l’unica tazza rimasta della sua adolescenza. Dalla finestra il sole ci cade sopra, illumina la mucca con un ciuffo d’erba in bocca.
Lascio il bricco vuoto sul fornello, un segnale per dire: scaldati il latte. Potrà macchiarlo con il caffè rimasto nella moka oppure ignorare tutto. Potrà apprezzare il mio pensiero per lei o scocciarsi di essere trattata come una bambina.
Non capisco i suoi turni di lavoro, se cosí posso chiamarlo, uscite e rientri a casa mi risultano imprevedibili. Ogni mia domanda in proposito la irrita. Cerco di incontrarla ai pasti.
Mi accerto che in frigorifero ci sia qualcosa di nutriente, nel caso salti la colazione. I gusci perfetti delle uova mi rassicurano. È sempre magra, mia figlia.
Tolgo scarpe e ciabatte dal tappeto, sparecchio il divano. Se arrivasse qualcuno, mi vergognerei di farglielo vedere cosí. È spento il telefono di Amanda sotto la coperta.
Posso andare. Oggi sto dal nonno, le scrivo su un foglio. Lo appoggio vicino al vaso di tulipani gialli. Aggiungo un cuore per lei, che subito cancello.



12 giugno 2024

Sovrabbondanza

In «Sovrabbondanza. Cronaca di una famiglia extra-large e per di più cattolica», Marcello Belletti - padre di sette figli - condivide molto di sé. 
Per parlare di quest'opera così particolare, attingo alla recensione che mio marito ha voluto pubblicare su una nota piattaforma di e-commerce:

«Un libro "scoppiettante" di vita e di fede, in una miscela perfettamente amalgamata delle due.
Una miscela per nulla "costruita" o forzata, come in certe agiografie zuccherose che ti fanno pensare che, se la vita di fede è questo, allora tanto vale...
No, qui ci sono la carne e il sangue, c'è l'aspettativa mai delusa che quella carne e quel sangue, quell'amore coniugale non comune, quel "diluvio di figli", quella totale mancanza delle sicurezze di cui siamo tutti schiavi (economica, lavorativa, caratteriale, ecc.) non sono "affar nostro" ma sono prima di tutto affar Suo, che ci crea e che ci salva».



30 marzo 2024

Risurrezione

A pochi passi dalla vetta del monte Križevac, Domitilla si imbatte in qualcosa di nuovo. 
E se la Risurrezione di Gesù fosse non solo un lontano concetto devozionale, ma qualcosa di molto più vivo, concreto, interessante?
Con una pagina tratta dal decimo capitolo del romanzo, auguro di cuore a tutti i lettori una
Buona Pasqua 
💙

Erano ormai vicini alla vetta del Križevac. Le quattordici stazioni della Via Crucis erano terminate, ma un’ulteriore formella li attendeva: quella che raffigurava la resurrezione. Gesù si librava sfolgorante sopra il sepolcro vuoto, con i capelli che parevano mossi dal vento. Ai suoi piedi era raffigurato un campionario di varia umanità: uno che dormiva, indifferente; uno che si copriva gli occhi, come per non vedere; uno che levava le braccia verso il Risorto. E poi c’era la Madonna, con le mani giunte e il volto sereno, lo sguardo fisso sul Figlio.
- Sei risorto, Gesù – disse il sacerdote, con la voce rotta per l’emozione – Sei risorto come avevi promesso. Hai sconfitto la morte, hai smascherato il Male. Signore, disperdi con la Tua luce ogni tenebra in noi e nelle nostre famiglie, nel mondo e nella Chiesa. Gesù, vivo e glorioso, facci crescere nella comunione di vita con Te!
Andrea imbracciò la chitarra e iniziò ad arpeggiare. Intonò un canto pieno di gioia:
Tu, Signore amante della vita
Mi hai creato per l'eternità
La vita mia tu dal sepolcro strapperai
Con questo mio corpo Ti vedrò.
Domitilla sentì la pelle delle braccia che si accapponava. Proprio lei, Tilly Tornabuoni, era stata creata per l’eternità. E anche nonna Flo, e i suoi genitori, e Pat, e… Creati per l’eternità! Non capiva ancora bene la portata di tutto questo, ma ne intuiva il senso: al di là del dolore e della fatica, al di là della banalità quotidiana, addirittura al di là della malattia e della morte, i loro giorni erano impastati d’infinito.
Fa che possa dire: "Cristo vive anche in me"
E quel giorno io risorgerò.
Okay Signore, pensò Domitilla, adesso ho capito che cosa voglio: risorgere anch’io. 



24 marzo 2024

Lucietta. Organista di Vivaldi

«Vi dico che questa Lucietta è la più brava organista del mondo. Io son rimasto a bocca aperta: corre sulla tastiera che pare una furia, senza mai fallare; ha cantato quell’aria accompagnandosi da sé, che eravamo tutti colle lagrime agli occhi».
Antonio Vivaldi

Federico Maria Sardelli, musicista e scrittore, prolifico esperto di Vivaldi, ci offre in "Lucietta" un'opera originale e godibilissima: una sorta di "saggio narrativo" che ricostruisce con garbo - e con tutta la precisione storica concessa dalle fonti disponibili - due vite parallele.

Siamo nella Venezia di fine '600. Una neonata viene abbandonata nella "scafetta" dell'Ospedale della Pietà. L'anno successivo vede la luce Antonio Vivaldi, destinato a passare alla storia come geniale compositore e violinista. 

Lucietta trascorrerà nell'istituto - accolta e reclusa al tempo stesso - l'intera sua vita. Unico vero conforto sarà l'amore per la musica: un talento straordinario consentirà a Lucietta di raggiungere vette altissime di virtuosismo musicale fra le "Figlie di Choro", e farà di lei l'organista prediletta del grande Vivaldi. 

Il libro alterna pagine di attenta documentazione archivistica e capitoli di prudente ricostruzione fantastica, generando una storia bella, credibile, profondamente drammatica.



07 marzo 2024

Roselline

Erano cinque - ciascuno corrispondente a una diversa classe delle elementari - gli album da disegno di "Roselline". Ritrovarli su una mensola mi ha sbloccato un fiume di ricordi. Credo che la mia passione per il disegno sia nata su quelle pagine, mezzo secolo fa; e anche se non ho mai imparato a disegnare sul serio, tuttora subisco il fascino di quest'arte figurativa.

Il primo album era interamente quadrettato, così per il bimbo alle prime armi era facile copiare i disegni seguendo la griglia. Dal secondo in poi, le pagine senza quadrettatura diventavano via via più rare, fino a scomparire del tutto nel quinto.
Anche le immagini - frutto del talento dell'autrice Rosella Banzi - erano proposte con complessità crescente, ma sempre con uno stile fresco, lieve, delicato: personaggi e cornicette, edifici, oggetti di uso quotidiano, fiori e animali, paesaggi, piccole storie illustrate...

Permettetemi di offrirvene - non senza una certa emozione - un piccolo assaggio.

















  

 

 














28 febbraio 2024

«Quanti libri! Non posso credere alla mia fortuna!»

Delizioso, e azzeccatissimo, questo fumetto che circola in rete. È ambientato in un tetro maniero, dove:
«Ora che sei mia sposa, non lascerai mai questo castello!» sentenzia lui, spietato.
«WOW! La tua biblioteca è fantastica!» replica lei, estasiata.
«Al di fuori del castello c’è un alto muro senza uscita, e al di là c’è una profonda foresta oscura, senza sentiero», prosegue lui.
«Immagino che la biblioteca sia anche mia, adesso che siamo sposati» dice lei, per nulla impressionata.
«La foresta brulica di lupi famelici, uccelli malvagi e spiriti di viaggiatori morti da tempo», rincara lui. 
«Quanti libri! Non posso credere alla mia fortuna!» esclama lei, prelevando alcuni volumi dalla libreria.
«Quando il sole tramonta, io mi trasformo in una belva feroce e volo nella notte, colto da una terribile sete di sangue!» conclude lui, dispiegando ampie ali da pipistrello.
«Ok. Io rimarrò qui a leggere. Arrivederci al mattino».
😂


21 febbraio 2024

Bastarde di Francia

Parigi, 1631.
Mi aspettavo un vero e proprio romanzo storico, ma “Bastarde di Francia – L’angelo e la vergine” si è rivelato, capitolo dopo capitolo, qualcosa di un po’ diverso: una sorta di feuilleton, tra intrighi di corte e amori impossibili. Non esattamente il genere che prediligo, insomma. Nello stesso tempo, devo riconoscere che ne ho apprezzato alcuni aspetti.

Le due autrici Alessandra Giovanile e Virna Mejetta hanno saputo rendere con efficacia luoghi e ambienti dell’epoca, forse anche grazie alla loro formazione in architettura. Che cosa mi ha più incuriosita? Una significativa parte della vicenda si svolge nella mia Torino.

Intendiamoci: è una Torino molto diversa da quella cui siamo abituati a pensare quando ripercorriamo i secoli gloriosi di Casa Savoia.
Siamo nel 1631, all’indomani di un’epidemia di peste che ha decimato la popolazione. La città si estende su un’area piuttosto limitata, cinta da mura e protetta da bastioni.

[...] La città, come la chiamava lui, era un paesotto immerso in una quiete irreale. Oltre il traffico vivace in prossimità della porta, la gente per le strade era poca e il silenzio artificioso. Forse faceva troppo freddo. 
La vettura percorse una strada dritta, affiancata da edifici in costruzione, poi ne costeggiò una più stretta, senza cambiare direzione. Sulla destra si ergeva il blocco di una fortezza che ricordava vagamente la Bastiglia.
Ci infilammo in un passaggio stretto, superando altri edifici non finiti e quella che Roero mi disse essere la cattedrale, dal profilo tipicamente italiano. [...]

Quello che poi diventerà Palazzo Reale non esiste ancora, lo si sta appena progettando. I duchi risiedono a Palazzo San Giovanni, che verrà demolito due secoli dopo; sorge poco distante, accanto al Duomo.

[…] C’era un giardino dietro il palazzo San Giovanni, proprio a ridosso del bastione della Madonna degli Angeli. Era bastione solo di nome: somigliava più a un casino di caccia, fatto per il riposo, le chiacchiere e le schermaglie amorose. Quella sera con Elisabetta eravamo quasi giunte al padiglione: io mi ero seduta mentre lei si era affacciata sulla campagna […]

Quello che un giorno diventerà Palazzo Madama (con la sontuosa facciata che Juvarra progetterà nel ‘700), ha ancora la denominazione originaria di Castello degli Acaja, e sembra una specie di fortezza, con quattro torri angolari.

[…] Attraversai la piazza sotto una pioggerellina fine per raggiungere il castello degli Acaja.
Le mura scure ricordavano più quelle di un luogo di tortura che quelle di un luogo di potere. Era stato porta della città romana e poi prigione. Aveva ospitato gli antenati di Vittorio e infine Cristina ne aveva preso un possesso così risoluto che ormai tutti in città lo designavano come sua sede alternativa: il Palazzo della Madama.
Il valletto mi condusse attraverso una teoria di stanze, fino a giungere agli appartamenti in prossimità della torre sud-orientale. Erano arredati con buon gusto, ma con un tocco antiquato da XVI secolo. Le pareti erano coperte da arazzi, più che da tappezzerie, e il lusso era ostentato, anche se gli si poteva riconoscere una certa eleganza. […]

Altre zone iconiche della città - come piazza San Carlo, la chiesa del Monte dei Cappuccini, la futura via Po – sono ancora in fase di progettazione.
Subito oltre il fiume, la collina è punteggiata di ville nobiliari – chiamate “vigne” – ciascuna circondata da terreni coltivabili. 

Il Castello del Valentino esiste già: è una sorta di “residenza fluviale”, che la duchessa ha scelto come proprio luogo di elezione, teatro di feste ed eventi. 
Per attraversare il Po, privo di ponti in pietra, si utilizzano le barche.

[…] Scendemmo la scalinata verso la riva con cautela: ogni gradino avrebbe dovuto avere un lumino, ma molti stoppini si erano spenti per l’umidità. Solo giunti al fondo di quell’oscurità alzai lo sguardo e rimasi stupefatta.
Avevo visto la residenza di campagna di Cristina da lontano: il grigio-azzurro dei tetti e più spesso solo il loro profilo appuntito e scuro, stagliato contro il rosseggiare del tramonto.
Ora, da vicino e perfettamente in asse con esso, notavo un’imponenza di ottimo gusto, i vuoti e i pieni perfettamente bilanciati tra loro, con le vetrate illuminate che luccicavano come fossero d’oro.
Il Po era nero e mosso da onde e le barche facevano la spola tra gli approdi. Era stato creato un cordone di zattere, riempite di lumi che si riflettevano nell’acqua mobile e che permettevano, a chi non fosse oberato da un abito come il mio, di percorrerle una dopo l’altra per attraversare il fiume a piedi. […]

Fuori città, il Castello di Rivoli è per i Savoia un luogo particolarmente caro.

[…] Il profilo severo del castello apparve all’improvviso.
Percorsero il viale che si inerpicava sulla collina, tanto folto di vegetazione da non dare l’idea dell’ascesa. Infine giunsero all’edificio, per nulla addolcito dalle arcate fatte aggiungere negli anni più recenti.
Di giorno l’interno del castello di Rivoli non aveva nulla di tetro. Le grandi sale erano invase di luce; le volte dipinte erano più sontuose che a Palazzo Ducale. Attraverso alcune finestre arrivava il vivace cinguettio dagli alberi che circondavano la collina. […]

Sulla strada verso la Francia, lassù in alto, si staglia la mole antica della Sacra di San Michele.

[…] «Ora posso aprire bocca?» rispose lui sarcastico. Posò il pugnale sul tavolo. «Qui passa la strada di Francia: è ben segnata e non è mai stata abbandonata all’incuria e…» Un bicchiere. «Noi siamo qui. Prenderete la strada verso ovest e, dopo un’ora di cammino, alla vostra sinistra incomberà l’antica abbazia di San Michele della Chiusa.»
Giunti a ridosso del complesso, lo sbigottimento li aveva fatti arrestare. Una mole che sembrava tenuta insieme da una moltitudine di archi rampanti spiccava sulla cima del monte come se vi fosse infilzata. L’ascesa dalla piccola strada insieme alla bruna umida dell’alba rendeva la sorpresa ancora più viva. […]



17 febbraio 2024

La Confessione di Domitilla

La Quaresima è un tempo liturgico "forte", in cui è bello riscoprire il Sacramento della Riconciliazione come esperienza di verità, di liberazione e di gioia.
L'undicesimo capitolo de "Il Capodanno di Domitilla" racconta proprio il momento in cui la giovane protagonista segue il suo desiderio di felicità, e si lascia abbracciare dal perdono di Dio...

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Si sedettero in un banco un po’ defilato, e padre Nicodemo s’inginocchiò pregando in silenzio. Domitilla non osò disturbarlo, e rimase a guardare ora la nuca di lui, ora la statua lontana. Passarono parecchi, lunghissimi minuti.

- Adesso ti lascerò sola per un po’ – bisbigliò il sacerdote mettendosi a sedere accanto a lei.
- Va già via? – chiese Domitilla, delusa.
- No, mi assento solo per un breve tempo. Qui fuori ci sono molti confessionali, e io desidero incontrarmi con il perdono di Dio.
- Lei? – si meravigliò Domitilla, spalancando gli occhi per lo stupore. Padre Nicodemo rise:
- Credevi che i preti non si confessassero?
- Non ci ho mai pensato, non saprei…
- Adesso lo sai. Siamo in un luogo che trasuda Grazia di Dio, qualcuno ha definito Medjugorje “il confessionale del mondo”. Io sono un povero peccatore, ma non così stupido da non approfittarne.
- E io?
- Tu sei libera di fare ciò che vuoi. Tornare in hotel, se lo desideri. Oppure cercare anche tu un confessore in lingua italiana, qui fuori. Altrimenti, puoi rimanere dove sei e aspettarmi pregando. Sarei felice di ritrovarti qui al mio ritorno.
- Allora credo che rimarrò – bisbigliò Domitilla, con un piccolo sorriso – Si sta bene qui, c’è molta pace.
- Sai che cosa disse un giorno la Madonna? «Gesù desidera riempire i vostri cuori di pace e di gioia». Esattamente quello che sta succedendo a te. Ma aggiunse anche: «Non potete, figlioli, realizzare la pace se non siete in pace con Gesù. Perciò vi invito alla confessione affinché Gesù sia la vostra verità e pace».
- Che ansia però… - ammise Domitilla, in un impeto di sincerità che intenerì il sacerdote.
- Ti capisco, ma sai come continuava quel messaggio? «Figlioli, pregate per avere la forza di realizzare ciò che vi dico. Io sono con voi e vi amo» - padre Nicodemo si alzò, e le lasciò scivolare fra le mani un cartoncino: - Qui c’è una traccia per fare un piccolo esame di coscienza, se può esserti utile. Altrimenti, chiedi solo a te stessa: che cosa mi impedisce di lasciarmi amare da Gesù? Quali sono i veri ostacoli alla mia felicità?
Le fece una carezza sul pompon, e uscì silenziosamente.
«Io sono con voi e vi amo». Che bello, pensò Domitilla. Qualunque cosa succeda, qualunque cavolata si possa commettere, «Io sono con voi e vi amo».
Chiuse gli occhi e si abbandonò al flusso dei pensieri, sorprendentemente tranquilla.

Quella Confessione fu per Domitilla un’esperienza di gioia cristallina e vera. Padre Nicodemo seppe accompagnarla con dolcezza e fermezza in un piccolo viaggio all’interno del suo cuore confuso. E dopo l’assoluzione le lasciò un suggerimento capace di pacificare ogni tensione:
- Ricordati: Dio non ti vuole perfetta. Per lo meno, non ti vuole perfetta nell’accezione che intendi tu, o che intende tua madre. Dio ti vuole felice. Dio ti vuole Sua.
Che bello, pensò Domitilla. Non capisco ancora bene che cosa significhi, ma già mi piace. 
«Io sono con voi e vi amo».

[Tratto da: Laura Blandino - Il Capodanno di Domitilla - Edizioni Mimep-Docete, Cap. 11]




11 febbraio 2024

La scala dei libri

L'immagine è ormai famosa, perché da anni circola sui social, ma forse non tutti sanno che si tratta della scalinata d'accesso alla biblioteca dell''Università di Balamand in Libano. 
Nell'intenzione dei creatori, l'opera vuole essere un omaggio ai più grandi libri di tutti i tempi, nonché un simbolo del ruolo chiave che l'ateneo rappresenta nel Libano attuale. 
Questa Università è stata fondata nel distretto settentrionale di El-Koura nel 1988, subito dopo la guerra civile libanese, e sorge su una collina affacciata sul Mar Mediterraneo. 



05 febbraio 2024

31 gennaio 2024

La lettura nell'arte: Matisse

Henri Matisse, nel suo Femme et anémones, coglie non tanto l'atto della lettura, quanto il momento della riflessione tra una pagina e l'altra. La scena è ambientata a Nizza, in una stanza dell’Hotel de la Méditerranée dove Matisse soggiornò periodicamente per alcuni anni. L'insieme suggerisce un'atmosfera rilassata, placida, eppure non statica: perché la mente lavora, e lo sguardo - che sembra perso nel vuoto - in realtà si spinge più in là.

Il dipinto è conservato a Torino, presso la Pinacoteca Agnelli.

Altre opere della serie "La lettura nell'arte":
Henri Matisse, Femme et anémones
1920, olio su tela


28 gennaio 2024

Gente del Sud

«Apri, Palma, apri la porta» urlò battendo con violenza la mano sull'uscio di casa. Di lì a qualche attimo si spalancò e comparve il volto spaventato di sua moglie. 
Palma era bella, tre figli non avevano appannato la dolcezza del volto reso ancor più luminoso dall'ultima gravidanza quasi al termine. Occhi neri, e così i capelli, di solito raccolti a crocchia sulla nuca, che in quel momento cascavano in parte sulle spalle. Poggiava una mano sulla bocca spaventata e l'altra sul pancione prominente quasi a proteggerlo dal pericolo. 
«Oh Gesù, ch'è successo?» esclamò spaventata nel vedere il volto stravolto di suo marito. 
«Accarra tutto, fa' le valige e vattin' coi bambini a Balsignano da mio padre!» 
«E perché?» 
«È tornato il colera!» 
«Oh Maronna!» 
Le raccontò tutto in breve mentre girava per casa alla ricerca dei bambini tentando di non guardare il volto atterrito della moglie che lo seguiva dappresso. 
«E tu che fai? Rimani ca'?» 
«Sono un medico, devo restare.» 
«Senz'e te nu' me ne vaco.» 
«No, Palma, devi partire e subito, prima che l'epidemia si estenda!» 
Ma Palma era irremovibile. 
«Non viaggio co' tre bambini e uno che può nascere da un momento all'altro! Non parto senz'e te.» 
«Se non vuoi farlo per me, fallo per loro», disse indicandogli i suoi tre figli, «e fallo per quello che ancora deve nascere!» 


Inizia così la saga della famiglia Parlante, le cui vicende percorrono oltre un secolo di storia italiana, sul palcoscenico dell’amata – e durissima - terra di Puglia. 
In “Gente del SudRaffaello Mastrolonardo riesce a dipingere personaggi indimenticabili, ritratti in tutta la loro grandezza e in tutta la loro miseria. 
Il risultato di questo poderoso lavoro è un romanzo da leggere senza fretta, lasciandosi catturare dall’intreccio e nello stesso tempo soffermandosi sui moti del cuore umano. Per chi ama le saghe familiari, tempo ben speso.




21 gennaio 2024

Dicono di noi

Un sentito GRAZIE alle lettrici e ai lettori che hanno già gustato Il Capodanno di Domitilla. Ecco nel carosello di immagini alcune loro impressioni e recensioni. È bello quando un libro «fa tanto bene al cuore»...