13 dicembre 2024

Favola di Santa Lucia

Oggi in alcune città italiane i bambini ricevono i doni da Santa Lucia.
Caso vuole che proprio ieri, sfogliando "Mondo Piccolo" di Giovannino Guareschi, mi sia imbattuta nella storia di Cesarino, un bimbo che in Santa Lucia credeva con tutto se stesso. 
L'innocente freschezza di Cesarino riuscirà a trasformare il cuore di suo padre, inaridito dalla fatica e dal dolore.
"Favola di Santa Lucia" inizia così...


Cesarino si alzò e, prima ancora di lavarsi, prese il lapis blu e cancellò sul calendario un altro giorno. Ne rimanevano ancora tre che poi erano due in quanto il terzo era quello famoso. Mentre si lavava con l’acqua gelata, Cesarino d’improvviso ebbe un pensiero: “E la crusca?” Era una cosa importante. ma risultava anche logico che non ci avesse pensato perché fino all'anno prima, tutto si era svolto laggiù, al paese dove per trovare della crusca, bastava allungare una mano. Gli venne in mente il pane fatto in casa, e il profumo che usciva dal forno. Risentì il cigolio della gramola e pensò a sua madre. Uscì in fretta e passando dalla portineria, si fermò per consegnare la chiave alla portinaia: suo padre era andato via alle quattro perché, in quei giorni, c’era un sacco di lavoro per chi aveva un camion. 
La strada era piena di gente che aveva una premura maledetta e la nebbia di quella fradicia mattina di dicembre era traditrice perché macchine e ciclisti saltavano fuori d’improvviso da ogni parte e bisognava stare attenti. Non poté pensare molto alla faccenda della crusca, ma quando fu a scuola, riprese a pensarci. Aveva dimenticato l’asino e adesso erano guai. Bisognava mettere sul davanzale, vicino alla scarpa, anche il sacchetto pieno di crusca per l’asino che portava le ceste dei regali. A non mettere la crusca, Santa Lucia si sarebbe offesa certamente. 
Cesarino, quando alle dodici e mezzo lo lasciarono libero, corse subito alla panetteria e domandò un po’ di crusca. Ma di crusca non ne avevano. Ed era anche logico perché, in una città come Milano, a cosa potrebbe servire la crusca? Provò da un altro panettiere, poi da un terzo e, alla fine, perdette la speranza. 
Arrivato a casa, trovò la chiave ancora in portineria: suo padre non era ancora arrivato e Cesarino mangiò da solo nella cucina fredda e in disordine. Il padre tornò la sera, ma non salì neppure in casa: lo chiamò dal cortile e assieme andarono alla trattoria dell’angolo. 
La minestra calda diede a Cesarino tanta gioia da fargli dimenticare tutte le sue preoccupazioni ma, quando ebbe finito di mangiare, le preoccupazioni ritornarono a galla. Cesarino aveva una soggezione tremenda di suo padre che era un uomo cupo e di poche parole, quindi fece una fatica matta a entrare in argomento. Alla fine gli disse: — Ci vorrebbe un po’ di crusca. — 
Il padre di Cesarino stava parlando con un uomo in tuta che era venuto a bere un bicchiere in compagnia: si volse sbalordito e domandò: 
— Crusca? E cosa te ne fai della crusca? 
— Ci vuole per l’asino, — balbettò il ragazzo. 
L’uomo in tuta si mise a sghignazzare e domandò di che asino si trattasse. 
— L’asino di Santa Lucia, — spiegò Cesarino timidamente. 
L’uomo in tuta sghignazzò ancora più forte, ma il padre di Cesarino gli strinse d’occhio poi, rivoltosi al ragazzino, gli disse brusco: 
— Lascia perdere l’asino. Qui Santa Lucia non usa. 
Il ragazzo lo guardò perplesso: 
— Santa Lucia sul calendario c’è! 
— C’è, ma non usa! — esclamò secco il padre. — Sul calendario c’è anche Sant’llario allora: ma, qui, invece, usa Sant’Ambrogio. Ogni città ha i suoi santi. Qui è il Bambino che porta i regali. Qui usa il Bambino. 
Il ragazzo guardò l’uomo in tuta, e quello gli confermò il fatto. 
— Perbacco, è proprio così! I santi sono delle autorità provinciali e ognuno ha la sua provincia. Qui la faccenda è di competenza del Bambino. 
Cesarino abbassò la testa, poi preoccupatissimo obiettò: 
— Ma il Bambino non mi conosce: è soltanto sei mesi che sono a Milano. 
L’uomo in tuta lo rassicurò: 
— Stai sicuro che il parroco del tuo rione lo ha già informato che siete qui tu e tuo padre! Ad ogni modo, per essere più sicuro, scrivi a De Gasperi così lui glielo dice. 
Altri due o tre che si erano avvicinati si misero a ridere e allora il padre intervenne e disse a Cesarino: 
— Adesso va a casa e mettiti a letto. Lascia la chiave sulla porta. 
Il ragazzino uscì e il padre spiegò la storia a quello della tuta ed agli altri: 
— Sono stupidaggini, ma non posso dirglielo così, in quattro e quattr’otto! È sua madre che gli ha messo in testa queste cretinate e, anche il giorno prima di morire, mi ha raccomandato: “Carlo, lascialo stare, il ragazzo. Lascialo così com’è. Quando sarà ora, capirà da solo. Non mi far dispetto quando sarò morta.” 
L’uomo allargò le braccia: 
— Ragazzi, se si tratta di far dispetto a un vivo, ci sto anche se c’è da scannarsi: ma non mi va di far dispetto a un morto. È soltanto sei mesi che è morta! 
Quello dalla tuta scosse il capo: 
— Sentimentalismi idioti, roba da medioevo! Intanto tu, per non far dispetto a un morto, fai dispetto a tuo figlio vivo perché gli lasci la testa piena di stupidaggini. 
— Non ti preoccupare, — ribatté il padre di Cesarino. — Quando vedrà che né santi né Madonna gli portano più niente, si convincerà da solo. 
[...]