Anche in Val Favero - luogo
immaginario in cui è ambientato il romanzo La camera bella - inizia
la primavera. E proprio in quel giorno Cecilia festeggia il suo compleanno.
La ragazzina è circondata
dai suoi amici, gioisce della campagna in fiore, è scoppiettante come sempre;
eppure, in un angolino del cuore, alberga un’ombra. Cecilia ha fatto esperienza
del dolore…
Le piccole gemme bordeaux
dell’albicocco un mattino si dischiusero in piccoli fiori delicati, di un rosa
chiaro e discreto. […] L’aria era frizzante e la brezza sottile recava ancora
in sé i residui dei rigori invernali. Il cielo però era azzurro e il sole sfolgorava
sulla campagna. Era uno di quei giorni in cui pareva impossibile essere tristi.
– È tutto così fantastico!
Mi piace, mi piace, mi piace! – esclamò Cecilia scattando l’ennesima foto a un
ramo fiorito. Aveva la pancia piena di torta e gli occhi pieni di bellezza. […]
Cecilia si sedette ai piedi
dell’albero, appoggiando la schiena al tronco. Rabbrividì leggermente alla
fresca brezza primaverile e si strinse nella felpa nuova. Fece un respiro
profondo, guardando davanti a sé. La sua espressione si fece improvvisamente
seria.
– Non ha fatto in tempo –
mormorò.
– Chi? A fare che?
– La nonna. Non ha fatto in
tempo a vedere l’albicocco fiorito. Le piaceva tanto…
Valentina e Pipetto
tacquero: non sapevano che cosa dire. Cecilia non riusciva a distogliere
l’attenzione dalla casa della nonna, con le persiane chiuse e il comignolo
senza vita. Sentiva un nodo doloroso stringerle la gola.
– Mi manca. Mi manca tanto.
Erano trascorse due
settimane dal giorno del funerale e la ferita bruciava. Cecilia continuava a
essere la ragazzina allegra e spensierata di sempre, ma ogni tanto le capitava
di incupirsi, quando il dolore si risvegliava in lei e la mordeva. Bastava un
ricordo o un momento di nostalgia e subito le si chiudeva la gola. Allora
cercava un angolino appartato e piangeva un po’, perché aveva scoperto che
spesso le lacrime la aiutavano a sciogliere il dolore.
Valentina si sedette accanto
a lei, sull’erba tenera punteggiata di primule, e le circondò le spalle con un
braccio. Cecilia chinò il capo sulla sua spalla e le due testoline si appoggiarono
l’una all’altra. Rimasero così a lungo in silenzio e quasi non si accorsero di
Pipetto che, aggirato l’albero, aveva cominciato ad arrampicarvisi. Il tronco
non offriva molti appigli, ma il ragazzino aveva un fisico forte e non ebbe
difficoltà a raggiungere la chioma. Era ben allenato a questo genere di imprese,
fin dalla più tenera età.
Con circospezione, attento a
non guastare nulla, spezzò alcuni dei rami più belli e li raccolse in una
specie di mazzo; poi lentamente ridiscese.
– Se vuoi possiamo andare –
disse a Cecilia.
– Dove?
– Da tua nonna. Glieli
portiamo.
La ragazzina ebbe un
sussulto di tenerezza. Pipetto aveva il potere di stupirla con il suo cuore
grande.
– Non ci sono mai più stata
al camposanto. Quando ho nostalgia della nonna preferisco venire qui in
Frazione San Giovanni e guardare la sua casa e ripensare a quando c’era lei.
Però sono sicura che i fiori di albicocco le piacerebbero molto.
– Se vuoi possiamo andare –
ripeté Pipetto.
– Sì, andiamo.
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