Carlo e i suoi amici sono
adolescenti come tanti altri: cresciuti sugli argini del Po, tra scorribande in
bicicletta e continue scoperte. L’incontro con un vecchio ferito dalla vita, e
con il figlio di lui, gravemente handicappato, interroga profondamente i
ragazzi.
Da In ogni caso niente paura
di Cristiano Guarneri, vi offro una pagina che ha il sapore delle domande vere.
Dissolta in un batter di
ciglia, con il suo cazzeggio spensierato e il dormiveglia fino all’ora di
pranzo. Mia madre urlava per buttarci giù dal letto. Il pomeriggio era un
girovagare per casa in canottiera e mutande, fin quando il citofono suonava.
Gianni passava a chiamarci
ogni giorno alle quattro. Si andava in piazzetta o a fare giri per le vie del
paese. Salve, Irene è in casa? Bel tipo, questa Irene. Peccato non l’abbiano
mai lasciata uscire.
La sera finivamo sui muretti
di fianco all’oratorio, a ridere e a fumare l’impossibile. C’era qualcosa nell’aria,
un sentore nuovo. Era come se fossimo i padroni di tutto, il tempo e lo spazio,
il destino intero.
Poi, senza volerlo, senza
preavviso, abbiamo fatto i conti con una storia che a sentirla diresti: che
sfiga. Ma non è così, c’è dell’altro. Rino Visetti è un uomo mutilato dalla
vita. Un ferito quasi a morte. Mi ci sono affezionato, comunque. Suo figlio è
stata la sorpresa più grande. Abbiamo smesso di chiamarlo con quel soprannome.
Ora è semplicemente Giacomo.
A volte mi chiedo perché
accadano cose così devastanti e senza via d’uscita. È un periodo strano,
questo. Sarà l’adolescenza con il suo mescolarsi di umori e di voglie, di
alternarsi fra presenza e assenza. L’altra sera, mentre fumavamo coricati sul
pavimento duro del sagrato, Gianni mi ha chiesto all’improvviso: - A te non
manca?
Io ho staccato lo sguardo
dal manto nero sopra di noi e, scrutandolo, gli ho chiesto: - Cosa?
- Non so - mi ha risposto
riflessivo. - Ma qualcosa a me manca.
È vero, lo provo anch’io. E
quando accade, mi sento un’anima irrequieta. Poi, rientra tutto nei soliti
binari. Fino allo sconvolgimento successivo.
La vita, in fondo, è come il
pendolo di un orologio a muro. Oscilla. Il momento prima è un’esplosione di
euforia, un’insonnia febbrile per l’esistere; quello dopo, un indecifrabile
senso di vuoto che vince su tutto.
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