Fu scritta più
di cent’anni fa, quella pagina indimenticabile uscita dalla penna - e dal cuore
inquieto - del grande Luigi Pirandello. Eppure è senza tempo, l’emozione che
incontriamo in «Ciàula scopre la luna» (dalla raccolta «Novelle per un anno»,
1907).
[...] Curvo, quasi toccando con la fronte lo
scalino che gli stava di sopra, e su la cui lubricità la lumierina vacillante
rifletteva appena un fioco lume sanguigno, egli veniva su, su, su, dal ventre
della montagna, senza piacere, anzi pauroso della prossima liberazione. E non
vedeva ancora la buca, che lassù lassù si apriva come un occhio chiaro, d'una
deliziosa chiarità d'argento.
Se ne accorse
solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli paresse strano,
pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaria cresceva,
cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare,
fosse rispuntato. Possibile?
Restò - appena
sbucato all'aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un
poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento. Grande, placida, come in un fresco luminoso
oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sì, egli
sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato
mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la
scopriva. Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola,
eccola là, eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna!
E Ciàula si
mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande
dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la
Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che
rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva
più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.