Nadia Terranova ambienta il suo Trema la notte nel dicembre 1908, quando un terremoto devastante rade al suolo Messina e Reggio Calabria. Nel contesto di questa immane tragedia collettiva, le vite di una ragazza siciliana e un bambino calabrese si incrociano per un istante.
Nicola ha alle spalle ferite profonde e segrete. Barbara si porta dentro una ribellione che brucia. Quando si scatena l'apocalisse, entrambi perdono tutto. E acquistano un'inattesa libertà, che però sa di dolore e di morte.
Le vicende sono drammatiche, eppure la lettura scorre in scioltezza, perché questo romanzo è - in fondo - una storia di rinascita.
Vi offro un assaggio della pagina in cui Barbara, costernata, scopre di aspettare un bambino. E non lo vuole, perché quella gravidanza è il frutto di una violenza.
Jutta mi raggiunse con una pezza inzuppata nell'aceto, me l'appoggiò sulla fronte e l'odore mi calmò.
- Siete incinte, - disse. - Vi spio da sempre, dal giorno della torpediniera, e ho sperato di sbagliarmi, ma ora dobbiamo prendere una decisione.
Tanto fragore nelle mie orecchie, il colpo di un cannone. [...]
No, non no. La testa diceva: non è vero. Il corpo diceva: sì, è così.
Vidi la mia fine e un pianto dispotico mi assalì. Tutti avrebbero saputo cosa avevo fatto con il marinaio, le suore non mi avrebbero creduta, non avrebbero creduto che io non volevo, e forse avevano ragione, non mi ero opposta abbastanza, l'avevo provocato, ero salita sulla nave da sola. Avevo paura di essere uccisa, ero stata complice - perché, perché non avevo preferito morire? Non ero una santa, ero una vigliacca, una donna da niente. [...]
Jutta ripeteva di non preoccuparmi, ce l'avremmo fatta.
La implorai di trovare una di quelle donne che mi avrebbero aiutata a tornare come prima [...]
Jutta mi lasciò sfogare. Quindi, con delicatezza, parlò;
- Barbara, - disse. - Barbara, Barbara -. Il mio nome sulle sue labbra era una culla, un calmante. - Barbara, - ripeté ancora, e poi, con il suo accento appuntito e il suo italiano perfetto: - Non è più l'esistenza di prima, è un altro tempo. Qui non c'è nemmeno la speranza, al massimo ci sono i miracoli. Abbiamo intorno la morte, e voi avete dentro la vita.
Non so se fosse stata Jutta a convincermi, con i suoi occhi d'acqua nei miei tanto terrosi, o se le sue parole, con l'enfasi sulla parola «vita», si fossero limitate a incitare la follia nel seguire la creatura rannicchiata in me. Qualunque fosse l'origine, da quel momento non mi fu più possibile ignorare la sua presenza. Iniziai a immaginarla.
Spingeva i piedi sullo stomaco fino a farmi vomitare, e di addormentava sul diaframma facendomi cominciare il singhiozzo o fermare il fiato.
Veniva a me dall'ultimo giorno del 1908 e sarebbe stata il primo di tutti i nuovi anni; era l'argine all'inferno e il salto nel vuoto, la scelta più sbagliata e l'unico destino giusto.
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