Bologna, 1939, anno XVII dell'era fascista. Ventidue giovani
donne - appena diplomate in ostetricia all'Alma Mater di Bologna - vengono inviate
in Sardegna per esercitare la loro professione in una terra povera, in cui la
mortalità infantile - soprattutto perinatale - è altissima (per miseria endemica, condizioni igieniche pessime, levatrici professioniste inesistenti). Nemmeno il tempo di
salutare i familiari: il traghetto le attende.
Fra queste giovani c'è anche Ida.
In "Hotel Nord America" Giacomo Mameli racconta di lei, la prima "allevadora" del paese di Perdasdefogu, che in Sardegna si fermerà per sempre. E attraverso le vicende di Ida scorrono sullo sfondo quarant'anni di storia italiana.
Il romanzo avvince, perché l'essenzialità della prosa - quasi cronachistica - rende evidente come di spazio alla fantasia se ne sia lasciato poco. E non è un caso. Perché Ida era la madre dell'autore, e molte pagine del libro traggono spunto dai diari di lei.
E adesso, desidero offrirvi un assaggio, con il brano il cui si racconta il primo parto cui la giovanissima "allevadora" Ida assistette in terra di Sardegna.
Fra queste giovani c'è anche Ida.
In "Hotel Nord America" Giacomo Mameli racconta di lei, la prima "allevadora" del paese di Perdasdefogu, che in Sardegna si fermerà per sempre. E attraverso le vicende di Ida scorrono sullo sfondo quarant'anni di storia italiana.
Il romanzo avvince, perché l'essenzialità della prosa - quasi cronachistica - rende evidente come di spazio alla fantasia se ne sia lasciato poco. E non è un caso. Perché Ida era la madre dell'autore, e molte pagine del libro traggono spunto dai diari di lei.
E adesso, desidero offrirvi un assaggio, con il brano il cui si racconta il primo parto cui la giovanissima "allevadora" Ida assistette in terra di Sardegna.
- Metta acqua e la faccia bollire, attizzi il
fuoco, non ci vedo, può fare un po’ più di luce?
Sigarino mette nel focolare frasche secche di leccio e corbezzolo, le fiamme rischiarano a lampi, riesco a vedere quanto devo vedere ma a sprazzi, diciamo che va tutto bene, sono in ballo, devo ballare, le scintille mi arrivano sulle gambe, sembrano punture di spilli, ma bruciacchiano pure, svolazzano anche nuvolette di fumo, come se fossero foglie più sottili delle foglie di leccio, devo evitare che arrivino da Filomena che spinge, spinge, ohi la schiena, quando nasce? È brava, soffre ma sorride, la capra bela, ciao Muduledda dice Filomena, ohi la mia schiena, io uso l’olio di oliva, Filomena gradisce, Sigarino mi porta il catino, si sente il raglio dell’asino di Crepantonio.
- Stiamo per farcela, Filomena, ancore un po’, spinga ancora un po’, respiri forte, spinga, ponzi.
- Come?
- Spinga, ci siamo.
- È nato il bambino? Unu pippìu?
Dal campanile di San Pietro arrivano undici rintocchi.
- No, è nata, è una bambina.
- Una pippìa.
Piange subito, è reattiva, sta passando dal caldo del grembo materno al freddo di una casa povera, meno male che siamo ad agosto. Prendo i miei ferri, pinzo il cordone ombelicale in due punti e taglio al centro, faccio proprio quello che facevo nella clinica universitaria di Bologna.
- Altra acqua calda Sigarino, è diventato padre di una bella bambina. L’avete deciso il nome?
- Come vuole lei, Signorida.
- No, come volete voi. Siete voi i genitori. Filomena come la vuol chiamare? E lei, Sigarino?
- Decide la mamma se è nata femmina.
- Allora la chiamiamo Maria, le piace? Professore che diceva
- E vuole che non mi piaccia quella che voi chiamate sa mamma de Deus? Auguri Filomena.
Devo legare il cordone ombelicale prima di accorciarlo. È una fase delicata quella subito dopo il parto. Ricordo il professore che diceva: “tagliate a trenta centimetri”. L’acqua calda arriva regolarmente, pulisco. Maria pi9ange, poi si assopisce un po’, figlia mia, figlia mia.
Poi di rintocchi ne arrivano dodici, è mezzanotte. Maria è attaccata alla mamma che l’accarezza.
- La posso baciare? – chiede Sigarino.
- Pulisca le labbra e la baci sulla fronte.
- Filgia mia. Filgia mia.
- Impara a dire filgia nostra, - precisa Filomena.
- Nostra e de Signorida.
Mi blocco un istante. Realizzo che, in una casa capanna, ho assistito al primo parto dopo il diploma. Mi asciugo le lacrime. Filomena non si accorge di nulla, guarda la sua bambina.
Sigarino mette nel focolare frasche secche di leccio e corbezzolo, le fiamme rischiarano a lampi, riesco a vedere quanto devo vedere ma a sprazzi, diciamo che va tutto bene, sono in ballo, devo ballare, le scintille mi arrivano sulle gambe, sembrano punture di spilli, ma bruciacchiano pure, svolazzano anche nuvolette di fumo, come se fossero foglie più sottili delle foglie di leccio, devo evitare che arrivino da Filomena che spinge, spinge, ohi la schiena, quando nasce? È brava, soffre ma sorride, la capra bela, ciao Muduledda dice Filomena, ohi la mia schiena, io uso l’olio di oliva, Filomena gradisce, Sigarino mi porta il catino, si sente il raglio dell’asino di Crepantonio.
- Stiamo per farcela, Filomena, ancore un po’, spinga ancora un po’, respiri forte, spinga, ponzi.
- Come?
- Spinga, ci siamo.
- È nato il bambino? Unu pippìu?
Dal campanile di San Pietro arrivano undici rintocchi.
- No, è nata, è una bambina.
- Una pippìa.
Piange subito, è reattiva, sta passando dal caldo del grembo materno al freddo di una casa povera, meno male che siamo ad agosto. Prendo i miei ferri, pinzo il cordone ombelicale in due punti e taglio al centro, faccio proprio quello che facevo nella clinica universitaria di Bologna.
- Altra acqua calda Sigarino, è diventato padre di una bella bambina. L’avete deciso il nome?
- Come vuole lei, Signorida.
- No, come volete voi. Siete voi i genitori. Filomena come la vuol chiamare? E lei, Sigarino?
- Decide la mamma se è nata femmina.
- Allora la chiamiamo Maria, le piace? Professore che diceva
- E vuole che non mi piaccia quella che voi chiamate sa mamma de Deus? Auguri Filomena.
Devo legare il cordone ombelicale prima di accorciarlo. È una fase delicata quella subito dopo il parto. Ricordo il professore che diceva: “tagliate a trenta centimetri”. L’acqua calda arriva regolarmente, pulisco. Maria pi9ange, poi si assopisce un po’, figlia mia, figlia mia.
Poi di rintocchi ne arrivano dodici, è mezzanotte. Maria è attaccata alla mamma che l’accarezza.
- La posso baciare? – chiede Sigarino.
- Pulisca le labbra e la baci sulla fronte.
- Filgia mia. Filgia mia.
- Impara a dire filgia nostra, - precisa Filomena.
- Nostra e de Signorida.
Mi blocco un istante. Realizzo che, in una casa capanna, ho assistito al primo parto dopo il diploma. Mi asciugo le lacrime. Filomena non si accorge di nulla, guarda la sua bambina.