È possibile scrivere un romanzo storico-biografico con una protagonista femminile, senza cedere alla tentazione del “rosa” a tutti i costi? Senza inventare per forza intrighi di corte, tradimenti, segreti? Senza arricchire la trama con amori e amorazzi di ogni genere e specie? E, nonostante il rigore, dare alla luce un’opera avvincente, piacevole da leggere, godibilissima?
In “La signora delle Fiandre”, Giulia Alberico ci è riuscita.
Siamo verso la fine del ‘500. Margherita d'Austria - figlia amata (ancorché illegittima) dell'imperatore Carlo V, duchessa di Parma e Piacenza, governatrice delle Fiandre - giunta al tramonto della sua intensa vita ne fa il bilancio con lucidità e coraggio. Ricorda gli anni della fanciullezza e quelli della maturità; gli eventi storici di cui è stata spettatrice o addirittura protagonista; le persone cui ha voluto bene e quelle che avrebbe voluto amare di più.
Sullo sfondo, sempre presente e struggente, la domanda sul senso della propria vita.
Permettete di offrirvene un assaggio…
Purtroppo devo confessare che non sono per niente pacificata, così come ho lasciato intendere agli altri e a me stessa, con l'idea di morire. Nonostante l'infermità e gli anni, vorrei vivere ancora. Questo mondo, tutto, anche questo angolo di mondo di Ortona a Mare, mi interessa, mi chiama, mi fa sentire viva.
Questa vita mezza piena e mezza vuota, così fragile, così faticosa e splendida, vorrei trattenerla ancora a lungo.
Il mondo l'ho girato, conosciuto, spesso sono stata superficiale, distratta, non l'ho apprezzato al momento ma ha sempre finito per sorprendermi con qualcosa di stupefacente. Fossero i tulipani rossi sbocciati dopo la morte di De Marchi, fosse la storia di Dorotea, fossero le ultime rose nel vaso di Delft. Non so come spiegarlo ma c’è nel mondo una quantità di bellezza, di vita, che mi ha sempre tirato fuori dal sopore, dal letargo delle emozioni. Non finirà mai di stupirmi questa vita terrena. La musica, per esempio, qualcosa che non sono certa potrò ascoltare in cielo o dove Dio mi comanderà di stare.
E pensare di non udire più la musica della vihuela mi è intollerabile.
Ho paura, ho paura di morire. Ho sempre finto un sovrano distacco da questo congedo che e di tutti. Quando ero molto giovane era una tappa lontana, un pensiero inconsistente. Da donna matura e stato un pensiero più assiduo ma la preghiera, l'esercizio religioso mi parevano angeli custodi, un accompagnamento all'idea del distacco.
Oggi, vicinissima all'appuntamento, confesso che ho paura.
Spero di non rendermi conto. Sarebbe orribile.
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