Silvia Avallone, nel suo Da dove la vita è perfetta, intesse sapientemente una fitta trama di storie sofferte ed estreme. Pagina dopo pagina sa catturare il lettore: mente, cuore, pancia. Soprattutto, è capace di attraversare senza retorica e con grande delicatezza temi da vertigini: aborto, adozione, fecondazione in vitro, disabilità, adolescenza, conflittualità generazionale, crisi di coppia.
Storie parallele, che solo a tratti – per un poco – sembrano incrociarsi: esistenze al limite, poste di fronte a scelte destinate a cambiare la vita per sempre.
Era troppo stanca. Aveva camminato così tanto, quel giorno. Da sola. Nella città deserta di metà agosto, per strade e piazze che non aveva mai visto. E ogni volta era stata sul punto di fermarsi, salire su un autobus e tornare, ma qualcosa l’aveva spinta a non farlo.
Non poteva togliersi dalla testa che fosse capace di sognare. Quel puntino minuscolo, tra una decina di settimane, avrebbe aperto le palpebre e ascoltato la sua voce. E già adesso, in quel preciso istante, era in grado di sentire lei. Lei, che era la sua casa.
Senza accorgersene, aveva risalito via Sant’Isaia fino a via Barberia, e l’ombra dei portici l’aveva protetta dall'incandescenza del sole. Aveva incontrato madonne affrescate con i loro bambini sotto le volte dei colonnati, il bassorilievo di un’Annunciazione. A guardarli, si era stupita dei colori vividi di quei palazzi: gialli, rosa, arancioni; la loro bellezza contro l’azzurro del cielo. […]
Adesso il centro storico le sembrava alla sua portata. Come un regno in balia del vuoto. Se lo conquistava piano piano, ammirata. Entrando nel fresco delle chiese. Sedendosi sulle scalinate.
Non lo sapeva, da dove le veniva quella necessità di camminare e camminare. Lo stava cullando, forse. In quella camera nera in fondo alla pancia, lo portava con sé e tentava di rassicurarlo.
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