In un brevissimo video - una manciata di secondi, appunto - ho voluto esprimere i miei auguri più cari a tutte le lettrici e a tutti i lettori.
Buon Natale!
Il piacere di leggere, il coraggio di sognare, la voglia di crescere. Narrativa, e non solo.
In un brevissimo video - una manciata di secondi, appunto - ho voluto esprimere i miei auguri più cari a tutte le lettrici e a tutti i lettori.
Buon Natale!
Qualche tempo fa lessi un romanzo di Mariapia Veladiano, e rimasi colpita dalla sua prosa limpida e dal suo stile drammatico, profondo, a tratti poetico.
Nelle ultime settimane ho voluto riprendere idealmente "contatto" con questa scrittrice, e gustarne altri romanzi. Tutti di rara intensità, mai banali, con protagoniste femminili che rimangono nella memoria e nel cuore.
"Il tempo è un Dio breve"
Ildegarda è una donna travagliata che affronta - senza fare sconti a se stessa - l'abbandono del marito, la malattia figlio, la propria sete di senso e di pienezza. Grazie a un incontro inatteso, Ildegarda vivrà un'esperienza che sa di promessa.
"Una storia quasi perfetta"
Bianca insegna arte in un liceo, e ama produrre incantevoli disegni ispirati ai fiori. Quando propone una serie di bozzetti al proprietario di un'azienda di design per collezioni di moda, l'uomo si lascia conquistare da tanta bellezza, e decide di acquisire tutto: sia le opere, sia l'artista. Ma...
"La vita accanto"
Rebecca, nata orribilmente brutta e rifiutata da sua madre fin dal momento del parto, è tuttavia dotata di un grande talento per il pianoforte. Grazie all'incontro con l'anziana signora De Lellis, Rebecca trova nella musica un'inattesa possibilità di riscatto.
"Adesso che sei qui"
Andreina ha sempre amato molto la zia Camilla: da piccola è vissuta con lei nella grande casa di campagna, tra l'orto e le galline. Adesso nella vita della zia irrompe un ospite inatteso e terribile: il «signor Alzheimer», che giorno dopo giorno appanna la lucidità e divora la memoria. Andreina si prende cura di lei fino alla fine: con affetto, fatica, ma anche con letizia e ironia. Perché la vita, fatta di piccoli istanti di presente, può essere comunque bellissima.
Si respira un intenso profumo di vecchia Sicilia, nei romanzi di Simonetta Agnello Hornby. In questi mesi ne ho letti alcuni, apprezzandone originalità di stile e acutezza di ricostruzione storica. Scrittrice palermitana (britannica d’adozione) la Hornby sa tessere vere e proprie saghe familiari che si snodano attraverso i decenni, tra ottocento e novecento, orchestrando sapientemente diversi piani narrativi.
“La mennulara”
Nel 1963 muore la "Mennulara" (la raccoglitrice di mandorle), domestica e amministratrice degli Alfallipe. Lascia uno strano testamento, che scatena contrasti e richiama misteri. Grandi rivolgimenti attendono la famiglia al cui servizio la donna ha dedicato tutta la vita.
“La zia marchesa”
Amalia ricorda i decenni in cui fu balia e poi cameriera personale di Costanza Safamita, infelice donna appartenente alla ricca aristocrazia terriera. Le vicende della marchesa si intrecciano con quelle della sua famiglia, e con quelle della Sicilia di metà ottocento.
“Caffè amaro”
Maria è poco più che adolescente, quando incontra Pietro e accetta di sposarlo. Ma non tutto è semplice come sembra. La sua lunga vita accompagna gli eventi storici di oltre mezzo secolo: i fasci siciliani, l’ascesa del fascismo, la seconda guerra mondiale con i terribili bombardamenti su Palermo.
“Piano nobile”
Siamo nella Palermo del 1942. Il barone Enrico Sorci, ormai morente, ricorda frammenti della propria vita. Intanto i suoi familiari vanno incontro al loro destino, in un mondo che profondamente cambia.
In questi giorni drammatici, in cui la situazione afghana scivola sempre più nella tragedia, ho voluto rileggere "Il cacciatore di aquiloni". Un romanzo duro e senza sconti, ma capace di avvincere, far chiarezza, commuovere.
Le vicende di Amir attraversano tre decenni di storia afghana: la caduta della monarchia, l'invasione sovietica, l'avvento dei talebani con il loro regime di violenza, sopraffazione e diritti umani calpestati. Eppure non si tratta di un mero libro "di denuncia"; è autentica narrativa. Khaled Hosseini - scrittore statunitense di origine afghana - ha saputo confezionare un'emozionante storia di amicizia e dolore, tradimento e redenzione.
Pineta è l'anonima cittadina del litorale toscano (località assolutamente immaginaria) che fa da sfondo ai romanzi di Antonio Malvaldi.
Il protagonista è Massimo Viviani, uomo intelligente e scontroso, anticonformista e ironico; depositata nel cassetto la laurea in matematica, è da anni titolare di un bar dal nome curioso (Bar Lume, appunto). Nel locale trascorrono gran parte delle proprie giornate quattro arzilli vecchietti: giocano a carte o a biliardo, discutono animatamente, e soprattuto si fanno i fatti altrui.
Ogni romanzo della serie racconta un delitto verificatosi a Pineta. Ovviamente la polizia indaga, ma non sempre trova il bandolo della matassa. Ogni volta è decisivo l'aiuto di Massimo e dei quattro ottuagenari, che osservando e deducendo, domandando e spettegolando, si trasformano di fatto in una formidabile squadra investigativa.
Al di là della trama gialla, sono accattivanti l'ambientazione delle storie, la genuinità dei personaggi, il linguaggio disseminato di toscanismi.
Quando giunge l'estate, spesso cresce la voglia di leggerezza. Anche in libreria, o in biblioteca.
A me capita proprio così; quando sto per andare in vacanza, amo mettere in valigia alcuni libri poco impegnativi, da gustare in spiaggia sotto l'ombrellone, o in montagna fra i pendii; o ancora in camera la sera, dopo aver visitato una bella città d'arte. Anche nella vita quotidiana, ogni tanto un po' di leggerezza fa bene: dopo un'intensa giornata di lavoro, perché non regalare alla propria fantasia qualche momento di piacevole relax?
Scegliere "letture leggere" non implica necessariamente imbattersi in "letture mediocri", o in testi di scarsa qualità. Anzi! Significa semplicemente godersi qualche bella storia, lasciandosi catturare dalla trama senza alcuna pretesa di profondità culturale, intellettuale, esistenziale.
In questi mesi mi è capitato spesso di concedermi "letture leggere", e lo ammetto senza alcun imbarazzo: molte mi sono davvero piaciute. Nei prossimi giorni ve ne racconterò alcune.
E voi, avete consigli? Quali letture leggère vi piace lèggere?
#leggerelettureleggere
Oggi, 23 aprile, si festeggia la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’autore, promossa dall’UNESCO per la valorizzazione e la celebrazione della lettura come attività culturale fondamentale nella storia dei popoli e dell’umanità.
Mi emoziona un po' pensare che nell'immenso mare di tutti i libri scritti in ogni tempo e in ogni luogo, ci siano anche i miei "piccoli tre"...
Con “Deserto” lo scrittore polacco Jan Dobraczynski si cimenta nell'impresa di ricostruire in forma romanzata – ma profondamente fedele al testo biblico – la vicenda umana di Mosè.
Ero ormai giunta agli ultimi capitoli del romanzo, quando ho avuto l’opportunità di seguire un incontro di presentazione organizzato dall’Associazione Italiana Centri Culturali. I contributi della prof. Bartolini De Angeli (docente di Giudaismo ed Ermeneutica ebraica) e di Michele Campiotti (Consiglio Nazionale di Comunione e Liberazione) mi hanno aiutata ad apprezzare ancor più nitidamente dettagli preziosi.
Per questo vi consiglio vivamente di seguire la registrazione dell’incontro, disponibile su YouTube:
https://www.youtube.com/watch?v=Tw7c9QrcD08
E anziché cimentarmi in una mediocre recensione del romanzo, condivido con voi alcune suggestioni che la moderatrice Alessandra Govi ha offerto nell’introduzione alla tavola rotonda:
«Deserto è il romanzo della preferenza e della misericordia come metodo della presenza di Dio nella storia. Dobraczynski sceglie di narrare questa esperienza di Israele nel suo percorso verso la terra promessa raccontando la vita di Mosè, l’amico di Dio, colui che Dio stesso ha scelto, che si trova a dover condurre il popolo nel deserto. In questo cammino, passando attraverso momenti di grande fatica e sconforto, egli si scopre sempre più uomo nella sua fragilità, e riconosce nelle pieghe di tutto ciò che accade il volto di Colui che lo ha scelto. Man mano che questa peregrinazione nel deserto si srotola negli anni, muta lo sguardo di Mosè su di sé e sul popolo. Ne emerge un cambiamento reso possibile perché è con Dio che si compie il cammino. Al termine della narrazione, ciò che ci consegna l’autore è un uomo che – giunto alla fine sella sua lunga vita – è pieno di gratitudine per quello che Dio ha permesso nella sua storia e in quella di coloro che lo hanno accompagnato, anche se lui non entrerà nella terra promessa. Mosè emerge come una figura di uomo che nelle sue domande e con il tormentato rapporto con il popolo e con il Mistero è estremamente vicino all’esperienza dell’uomo moderno».
L'ultimo romanzo uscito dalla penna di Alessandro D'Avenia ha una sua originalità, e tocca temi importanti: non solo per gli adolescenti, ma anche per chiunque – a qualsiasi età – prenda sul serio le domande profonde del proprio cuore. Eppure, ho letto “L’appello” con una certa fatica.
L'idea di fondo è ottima: Omero Romeo, insegnante cieco, è chiamato come supplente in una classe all’ultimo anno delle superiori. Solo dieci studenti: tutti problematici, confinati in una classe-ghetto di casi umani. Il nuovo professore rompe subito tutti gli schemi, e inventa un nuovo modo per fare l’appello: dopo aver nominato un ragazzo ne esplora il volto con le dita, e lo invita a raccontare qualcosa di sé. Il professore cieco riesce a “vedere” i suoi ragazzi con una profondità che nessuno mai aveva fatto sperimentare loro.
Ottimo spunto, ripeto; tuttavia, ciò che mi ha reso faticosa la lettura è un certo eccesso di verbosità, un linguaggio ridondante e poco realistico, soprattutto quando a parlare sono i ragazzi. Diciottenni di grave problematicità e scarso rendimento scolastico, si esprimono come intellettuali di primo piano. E tutto questo toglie immediatezza alla narrazione.
In ogni caso, la riflessione sul ruolo dell'insegnante non è affatto banale. Permettetemi di offrirvi una pagina, che idealmente dedico a mio figlio, in cammino verso questa stessa scelta di vita...
Ricordo il momento in cui ho deciso che avrei fatto l'insegnante l'ho confidato ai miei amici. Ero felice, vedevo un futuro pieno di senso: continuare a studiare ciò che amavo e trasmettere quell’amore agli altri. Che cosa c'è di più grande? Eppure tutti mi dicevano parole che trasformavano il mio sogno in un’illusione: sarai un morto di fame, ai ragazzi non fregherà nulla, ripeterai sempre le stesse cose e ti troverai vecchio a 40 anni… Ma a me sembrava molto più reale il mio sogno che i loro discorsi basati sui soldi da accumulare e sul miraggio di certe carriere. Inoltre avevo l’esempio dei miei genitori: felici e realizzati nel fare i maestri di ciò che amavano. Così andai a parlare con loro. Mia madre mi disse che forse avevano ragione a sostenere che sarei stato un morto di fame, ma sbagliavano sulla parola “morto”. Sarei stato “vivo” dalla fame. Non capivo. E lei mi spiegò che da quando studiava e insegnava il greco e il latino non si era mai annoiata, si era sempre sentita aperta a una ricerca inesauribile. Quella fame la teneva viva e quella vita si trasmetteva agli altri. E questo è un grande sogno: non sopravvivere, ma essere vivi. Chi ha paura di morire cerca di resistere e si limita ad appropriarsi di energie già esistenti. Chi invece ha fame di vivere diventa un rivoluzionario, suo malgrado, perché crea nuove energie che prima non c'erano e le introduce nella vicenda umana dando slancio, forza, calore agli altri.
La lettura è un'avventura a tutte le età, anche quando si è talmente piccoli da poter guardare solo le figure, mentre mamma o papà leggono i testi. Si inizia così. E poi ci si innamora della narrativa.
Per questo mi piace ricordare certi libri - magari illustrati, magari cartonati - che hanno accompagnato l'infanzia dei miei figli, o addirittura la mia. Non sarà vera letteratura, ma introduce a una passione che può durare tutta la vita.
Inizio con un libretto delizioso: "Regali di compleanno", scritto dal britannico Paul Stewart e illustrato da Chris Riddel.
Coniglio e Porcospino sono grandi amici: il primo dorme di notte, il secondo di giorno, ma alla sera si incontrano e chiacchierano insieme. Non conoscendo la data dei propri compleanni, decidono di festeggiarli entrambi... domani!
«Forse non è il giorno giusto, come facciamo a saperlo?»
«Forse non è il giorno giusto, ma forse lo è. Sarebbe un vero peccato se fosse il giorno giusto e noi non lo festeggiassimo».
Ciascuno dei due ha ventiquattr'ore di tempo per trovare il regalo; ma non è facile azzeccare il dono giusto per un amico così diverso da sé.
Delicatezza e rispetto, originalità e ironia, caratterizzano questa storia d'amicizia pensata per i più piccini, ma bella per tutti.
Prima di partire per la mia breve vacanza invernale, ho acquistato al volo alcuni e-book da leggere in montagna, pregustando lunghe serate al calduccio, mentre fuori scendeva la neve.
Ho scaricato anche un romanzo di cui non sapevo nulla, scelto fra le proposte editoriali in offerta, con un criterio “di pancia” che non mi è abituale: "Il primo fiore di zafferano" di Laila Ibrahim, scrittrice a me sconosciuta. È stata una piacevole sorpresa: ho trascorso ore gradevolissime, immersa in una storia delicata e semplice.
Siamo nella Virginia di metà ottocento, terra di grandi piantagioni e drammatiche ingiustizie sociali. La schiava nera Mattie, mamma da poco, viene destinata alla casa padronale come balia della primogenita dei signori; dovrà quindi separarsi dal proprio bambino, per allattare e accudire la piccola Lisbeth. Lo strappo è lacerante, ma la donna sa bene di non avere alternative.
Giorno dopo giorno, poppata dopo poppata, germoglia fra la donna e la bambina un rapporto intenso, profondo, che le segnerà per tutta la vita.
Questa lunga storia inizia così...
Mattie era raggomitolata intorno al corpicino caldo di suo figlio quando l’odioso messaggero bussò. Rimase distesa sul giaciglio, restia a interrompere quel momento prezioso, e ascoltò il respiro pesante di suo nonno che dormiva. Guardò Samuel e gli premette il naso sul collo morbido per annusare quel dolce profumo di neonato. Asciugò con delicatezza il sudore che gli imperlava la fronte e gli diede un tenero bacio sulla tempia. Ci fu un altro insistente colpo alla porta. Mattie si alzò. Strinse Samuel così vicino a sé da sentire il suo respiro caldo sul petto e andò ad aprire strascicando i piedi sul pavimento di terra battuta. Si aspettava quella visita da settimane, l'aveva immaginata tante volte, ma guardava a quel momento con terrore. Aprire avrebbe segnato la sua vita per sempre, come uno spartiacque tra un prima e un dopo.